Riassunti Tutte le novelle del Decameron di Boccaccio

Riassunti novelle Decameron Boccaccio

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    Riassunti Tutte le novelle del Decameron di Boccaccio



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    1a Giornata

    INTRODUZIONE

    L’opera si apre con la descrizione della tragica situazione di Firenze oppressa dalla peste. I morti per le strade, i lamenti, le urla, l’aria pesante rendevano la vita in città una continua sofferenza. Per questo motivo sette nobili ragazze (Pampinea, Neifile, Filomena, Fiammetta, Emilia, Lauretta ed Elissa) seguendo la proposta di Pampinea, decidono di fuggire dalla città e rifugiarsi in una villa in campagna dove pensano di trovare allegria e di scampare alla peste. Coinvolgono in questa impresa anche tre giovani nobili Filostrato, Panfilo e Dioneo. Così il giorno dopo giungono in questa bellissima casa con i loro servi e stabiliscono che ogni giorno venga eletto un re o una regina che gestirà a suo piacere la giornata. La prima regina è Pampinea che dopo aver dato disposizioni ai servi e agli amici decide che alla stessa ora per dieci giorni ognuno racconti una novella che dovrà seguire l’argomento proposto dal re o dalla regina della giornata. Il tema della prima è vario ed li primo ad incominciare è Panfilo.

    PRIMA NOVELLA (PANFILO)

    Il protagonista di questa novella, Ser Ciappelletto, è descritto da Boccaccio come “il peggior uomo che mai nascesse”. Egli è un falsario pronto ad utilizzare tutti i suoi mezzi per contorcere la realtà, un abile bugiardo e uno spietato disseminatore di litigi e contrasti all’interno di parenti e amici; assassino, bestemmiatore, traditore della Chiesa e della religione (che naturalmente non segue), ladro, ruffiano nei confronti di uomini e donne è, oltretutto, un accanito bevitore di vino: un uomo, quindi, non estraneo al peccato.Egli viene assunto da Musciatto Franzesi per la gestione dei suoi intricati affari sparsi in innumerevoli regioni. Durante il suo viaggio, trova accoglienza in casa di due fratelli usurai e qui è vittima di un malore. I due proprietari sono timorosi delle ripercussioni che la diffusione della notizia della morte di un personaggio simile nella loro abitazione senza l’estrema unzione avrebbe comportato. Il loro dialogo, però, non sfugge a Ser Ciappelletto, che rassicura i suoi ospiti garantendo loro nessuna preoccupazione futura. Per questo, fa venire il più “santo” tra i parrochi, per una sua prima ed ultima confessione. Durante la visita del prete, Ciappelletto gli fa credere di essere un uomo perfetto, che non abbia mai commesso un peccato, quasi un santo. Il frate, stupito da una simile purezza, dopo la morte dell’uomo, raccoglie tutti i suoi fratelli in riunione con il solo obiettivo di lodare il defunto. Al funerale partecipa un gran numero di persone che, convinte che ciò che è stato detto riguardo il morto sia del tutto vero, adorano la sua salma proprio come se si trattasse di un individuo degno di essere beatificato ed adorato.

    SECONDA NOVELLA (NEIFILE)

    La vicenda ha per protagonisti due mercanti: Giannotto, cristiano e Abraam, ebreo. I due nonostante la differenza di religione sono legati da una profonda amicizia. Giannotto insiste a lungo con l'amico per convincerlo a convertirsi al cristianesimo, ma questo, anche se attratto dalle motivazioni dategli, rimane fedele alla sua religione fino a che un giorno comunica al cristiano che stava per compiere un viaggio a Roma per vedere da vicino lo stile di vita del Papa e del clero e che se ne fosse rimasto colpito si sarebbe fatto battezzare. Giannotto è ormai convinto che vedendo il comportamento vergognoso del clero Abraam si convinca per sempre a non accettare la sua religione. Infatti Abraam si accorge da subito della vita peccaminosa dei chierici e quando torna da Giannotto questo ha ormai perso la speranza nella conversione dell'amico. A sorpresa Abraam gli annuncia invece che nessuno potrà ostacolargli il battesimo perché proprio durante il proprio viaggio si è accorto che lo Spirito Santo è con il Cristianesimo e con nessuna altra religione, perché, pensa, solo in questo modo avrebbe potuto sopravvivere in mezzo a tanto peccato e ad accrescere di giorno in giorno il numero dei fedeli, nonostante coloro che hanno il compito di guidare il gregge facciano di tutto per disperderlo.

    TERZA NOVELLA (FILOMENA)

    Questa novella, narra che Saladino, sultano d'Egitto e di Siria, era molto ricco, potente e saggio ma ultimamente, stava affrontando una carenza economica. Siccome Saladino era una persona molto avara, cercò di rivolgersi all'ebreo Melchisedech con l'astuzia affinché riuscisse ad ottenere ciò che voleva con una parvenza di giustizia. Così fece venire Melchisedech che era un usuraio di Alessandria, e gli domandò quale tra la religione giudaica, quella saracena e la cristiana, secondo lui fosse quella vera. Melchisedech però, oltre ad essere un fedele dell'ebraismo, era anche molto astuto e capì subito che con una sua risposta poteva andare contro il sultano. A questo punto l'usuraio, siccome doveva per forza dare una risposta, gli raccontò una novelletta che esprimeva un paragone. Infatti questa novelletta raccontava che un uomo ricco possedeva una pietra preziosa e che alla sua morte la doveva dare in eredità a un figlio che doveva essere molto fedele e responsabile. Questa pietra preziosa fu tramandata per molte generazioni fino a quando, un discendente non sapeva a chi dei tre figli dare la pietra preziosa, poiché erano tutti e tre meritevoli dell'eredità. Così fece rifare due copie perfette della pietra autentica da un abile orefice. Alla sua morte, ognuno dei tre figli ricevette un anello e lo prese per vero, ma non si poté scoprire mai quali dei tre figli avesse ricevuto la pietra autentica. Tutta questa novella servì per far capire al sovrano che come l'eredità dell'uomo ricco era toccata a chissà chi fra i tre figli, ancora oggi non si poteva sapere quale, tra le tre religioni prevalenti, fosse quella autentica. Questa novella si conclude bene: Saladino ammirò l'intelligenza di Melchisedech e gli disse francamente la verità. L'ebreo prestò i soldi che servivano al sovrano. Saladino gli restituì poi l'intera somma, aggiunse grandissimi doni e lo fece diventare suo amico.

    QUARTA NOVELLA (DIONEO)

    Un frate, colpito dalla bellezza di una giovane ragazza, decide di condurla nella sua cella dove i due, attratti l’uno dall’altra, si sollazzano. Il frate capisce di essere scoperto dall’abate, decide perciò di uscire lasciando la porta della sua cella aperta per far cadere anche l’abate nella colpa. Il superiore, inizialmente scandalizzato dal peccato, non appena vede la ragazza nella cella del frate, viene subito pervaso anche lui da desideri peccaminosi: cede alla tentazione e li soddisfa. Il frate lo coglie sul fatto e non può venire condannato da colui che ha commesso lo stesso peccato. Così la cosa rimase nascosta, e la fanciulla continuò a frequentare tutti e due.

    QUINTA NOVELLA (FIAMMETTA)

    La marchesa di Monferrato , partito il marito per la terza crociata, si trova ad affrontare le attenzioni del re di Francia Filippo Augusto. Questo aveva sentito parlare della marchesa come una donna bellissima e, senza averla mai vista, se ne innamorò. Per questo si fece invitare da lei a pranzo. La donna accettò lietamente l’invito e ordinò che venissero radunate e cucinate tutte le galline del luogo. Il re fu ricevuto con calore dalla donna, ma si accorse che, benché le bevande fossero costituite da vini vari e pregiati, le portate erano composte esclusivamente da galline. Il re allora chiese alla marchesa se in quel luogo venivano allevate solamente galline. La donna gli rispose di no e aggiunse che le donne, anche se sono differenti in onore e virtù, sono tutte uguali. Il re, compresa la metafora, capì che il suo amore era mal concepito ed era da spegnersi. E così, finito di pranzare, la ringraziò e si affrettò a ripartire dirigendosi a Genova.

    SESTA NOVELLA (EMILIA)

    Un frate minore, benché fosse un inquisitore era anche un raffinato buongustaio dedito ai banchetti. Un giorno, avendo sentito parlare di un uomo molto ricco, il quale da ubriaco aveva detto di avere un vino così buono che anche Cristo lo vorrebbe bere, andò da quest'uomo e lo accusò di aver definito Dio come un ubriacone e per penitenza gli disse che doveva desinare in convento e andare tutte le mattine a messa in chiesa. Lì, un giorno, l'uomo udì dire dal predicatore: ”Voi riceverete per ogni vostro dono cento volte tanto e possederete la vita eterna”. Parlando poi col frate, disse: "Da quando frequento questo convento, ho potuto constatare che donate molta minestra ai poveri e quindi nell’aldilà ne avrete talmente tanta da affogarci". Il frate allora per ira gli rispose che da quel momento in poi poteva fare ciò che più gli piaceva senza più presentarsi davanti al suo cospetto.

    SETTIMA NOVELLA (FILOSTRATO)

    Bergamino, novellatore, in seguito ad un ingaggio da parte del signore di Verona Can Grande della Scala, ricevette in dono solo tre vesti. E così Bergamino quando si trovò al cospetto di Can Grande, lo rimproverò della sua avarizia narrandogli la storia di Primasso e dell’abate di Clignì. L'abate non volle ricevere Primasso, che essendosi portato con sé tre pani, se ne nutrì fino a che non fu ricevuto. Quando l’abate alla fine capì che il giovane era venuto solamente per onorare e osservare la sua magnificenza, si vergognò e, per scusarsi, gli donò denari, un cavallo da viaggio e vestiti. Can Grande, avendo udito ciò, pagò l’oste di Bergamino e diede al novellatore, come nella storia, denari, vestiti pregiati e un palafreno (cavallo da viaggio).

    OTTAVA NOVELLA (LAURETTA)

    Messer Ermino de Grimaldi era l’uomo più ricco tra tutti i signori di Genova, ma anche il più avaro. In quel tempo giunse in città un valente uomo di corte, Guiglielmo Corsiere, che avendo sentito parlare dell’avarizia di Ermino, volle andare a trovarlo. Ermino accolse Guiglielmo amichevolmente e, mostrandogli la sua nuova abitazione, gli chiese: "Che cosa posso far dipingere di mai visto prima d’ora?". Guiglielmo allora gli rispose che poteva far dipingere la “Cortesia”. Avendo udito queste parole, messer Ermino si vergognò talmente tanto che divenne il più affabile e compiacente uomo di Genova.

    NONA NOVELLA (ELISSA)

    Una donna della Guascogna andò in pellegrinaggio al sepolcro e al suo ritorno, giunta a Cipri, subì violenza da alcuni uomini. Ella pensò allora di rivolgersi al re per ottenere un’adeguata vendetta, puravendo sentito dire che il re era molto indulgente. Giunta al suo cospetto, gli raccontò la vicenda e infine gli chiese come faceva a sopportare tutte le ingiurie che fino ad allora aveva subito. Il re a quel punto, come svegliato da un lungo sonno, si riscosse e stabilì che tutte le ingiurie, a cominciare da quella patita della donna, fossero severamente punite.

    DECIMA NOVELLA (PAMPINEA)

    L’anziano maestro Alberto di Bologna, medico di gran fama, si innamorò di una bellissima donna, Margherita dei Ghisolieri. Cominciò pertanto ad andare tutti i giorni, o a cavallo o a piedi, davanti alla casa della donna. Margherita, insieme ad altre donne, comprese il perché di queste visite, ma non capiva come faceva un uomo anziano a innamorarsi, poiché riteneva che la passione fosse un sentimento proprio dei giovani. In un giorno di festa, vedendo maestro Alberto nelle vicinanze, lo invitò nella sua abitazione. Il vecchio medico però si rese conto che l’invito era una sorta di beffa e allora disse a Margherita che l’amore degli anziani è molto più maturo e profondo di quello dei giovani. Disse inoltre che, come si mangia la parte più cattiva dei porri, anche il suo amore poteva essere assaporato. Così la donna, non avendo considerato le qualità della persona che voleva punzecchiare, si ritrovò punzecchiata.

    CONCLUSIONE

    Pampinea nomina come regina della seconda Filomena la quale sceglie il tema:”chi da diverse cose infestato, sia oltre la speranza riuscito a lieto fine”. La stessa, arrivata l’ora del desinare, ordina che si danzi. Emilia canta allora la ballata: Io son sì vaga della mia bellezza.





    2a giornata



    In questa giornata si narrano le avventure di chi, colpito da molte avversità, sia riuscito a raggiungere un lieto fine.



    INTRODUZIONE

    Dopo essersi svegliata, la compagnia si diletta sul prato. Dopo il pranzo e qualche ballo, si siedono, e Filomena, regina della giornata, ordina a Neifile di incominciare.


    PRIMA NOVELLA (NEIFILE)

    Era da poco morto a Trivigi, sant’Arrigo dichiarato santo perché oltre che essere stato un pio uomo, alla sua morte tutte le campane suonarono contemporaneamente. Allora la gente meravigliata, portava nel luogo santo ove era tenuta la salma, sia storpi sia ciechi e altri poveri, affinché fossero miracolati dalla vicinanza del santo. In quel giorno arrivarono nella città tre mercanti fiorentini: Stecchi, Martellino e Marchese che, incuriositi dalla folla, vollero andare a vedere le spoglie del santo. Martellino trovò il modo per passare indisturbati e senza noie: lui si sarebbe finto uno storpio e i due compari l’avrebbero aiutato a reggersi. Arrivato vicino al corpo di Sant’Arrigo, Martellino per burlarsi delle persone che lo guardavano cominciò a fingersi miracolato, ritornando a poco a poco normale. Ma riconosciuto da un suo compaesano stava per essere linciato dalla folla, quando Marchese riuscì a portarlo via; e così tutti e tre fecero ritorno a casa.

    SECONDA NOVELLA (FILOSTRATO)

    Il mercante Rinaldo d’Asti sta cavalcando verso Verona, quando viene derubato da alcuni furfanti travestiti da onesti cavalieri. Rinaldo vagando dopo il calar del sole e rimasto con pochi indumenti addosso, disperava di trovare un rifugio per la notte quando, per fortuna, riesce a ripararsi sotto il portico di una casa che crede abbandonata, ma invece in questa vi era una bellissima vedova che aiuta il mercante a ristorarsi, gli fa fare un bagno e improvvisamente se ne innamora, da parte sua Rinaldo ricambia l’amore della donna e cosi passano la notte insieme. Il giorno dopo, vestito con buoni abiti, riparte ringraziando di tutto la donna e lungo la via incontra i tre briganti che lo avevano rapinato il giorno prima, catturati; perciò può riprendersi i suoi vestiti e i denari, e ritornarsene felicemente a casa.

    TERZA NOVELLA (PAMPINEA)

    Lamberto, Tedaldo e Agolante figli di un ricchissimo cavaliere, alla sua morte sperperano tutta l’eredità e, divenuti poveri, si decidono a lasciare Firenze e a partire per l’Inghilterra dove, prestando il denaro ad usura, riescono a guadagnare piu’ di quanto avevano perso.Ma, affidati i possedimenti inglesi ad un loro nipote di nome Alessandro, se ne tornarono a Firenze. Intanto a causa di una guerra le proprietà inglesi non rendono più, perciò i tre fratelli riperdono tutto e per i debiti sono incarcerati; anche Alessandro, ormai povero, sta per tornare in Italia quando incontra un abate inglese che gli si affeziona particolarmente. Una sera l’abate fatto venire Alessandro nel suo letto, comincia ad accarezzarlo ma Alessandro non capisce come può un uomo toccare un altro uomo; ma l’abate in verità altri non e’ che la figlia del re d’Inghilterra. Dopo una notte di passione, il giorno seguente giunti a Roma furono sposati dal Papa e così Alessandro divenne duca di Cornovaglia e poté liberare i tre zii, essendo oramai ricchissimo.

    QUARTA NOVELLA (LAURETTA)

    A Ravello, una cittadina sul golfo d’Amalfi, vi era un ricchissimo mercante chiamato: Landolfo Rufolo.Questi partì, un giorno, con una nave piena di mercanzie per Cipro; ma commerciando perse tutto e così decise di fare il corsaro.Guadagnò molto di più così che con la precedente attività. Ma un giorno, trovato dai genovesi in un’insenatura, fu derubato e fatto prigioniero; durante il viaggio, l’equipaggio colto alla sprovvista da una tempesta fu scaraventato in mare assieme alle merci rubate.Landolfo riuscì a raggiungere terra aggrappato ad una cassa. Una giovane donna vedutolo sul bagnasciuga, lo portò in casa e lo ristorò per alcuni giorni. Il mercante, dopo aver scoperto che la cassa conteneva moltissime pietre preziose, lasciata la donna partì per Ravello dove, non esercitò più come mercante ma visse di rendita fino all’ultimo.

    QUINTA NOVELLA (FIAMMETTA)

    C’era a Perugia un noto mercante di cavalli, Andreuccio, che un giorno partì per Napoli con una borsa di fiorini d’oro. La stessa sera, arrivato nei pressi di Napoli, mentre cenava in un’osteria, trasse fuori la borsa con i soldi che furono subito notati da due scaltre donne. La sera dopo, la più giovane di queste due, invitò Andreuccio a casa sua e, piangendo, gli disse che lei era sua sorella. Dopo aver convinto Andreuccio, lo costrinse a rimanere la sera e la notte a casa sua. Il povero commerciante cadde in una botola, che si trovava nel bagno, e la donna poté così rubargli la borsa; uscito fuori della casa ed avendo cominciato a capire l’inganno, bussò, inferocito, più volte alla sua porta ma, ovviamente, nessuno rispondeva. Perse le speranze, s’incamminò verso l’osteria e sulla strada incontrò due contadini che, ascoltata la storia, sembrava volessero aiutarlo; così lo condussero ad un pozzo per farlo lavare dal fetore che aveva addosso. Ma, una volta calato Andreuccio nel pozzo, scapparono impauriti da alcune persone che stavano arrivando al pozzo; lo sfortunato ragazzo, dopo aver risalito il pozzo, saltò fuori terrorizzando tutti e, corse via. Ma incontrò nuovamente i due astuti contadini che lo obbligarono a rubare un rubino che si trovava al dito di un cardinale sepolto recentemente nella chiesa del paese.Andreuccio trovato l’anello se l’infilo’ in tasca e diede il resto delle pietre, sotterrate con il cadavere, ai due loschi individui, che lo chiusero nella cripta assieme al morto. Il giorno dopo, un prete, incuriosito dal tombino aperto, si calò nell’ipogeo e così, Andreuccio pote’scappare dopo aver spaventato a morte il prete, e ritornare a Perugia con il rubino.

    SESTA NOVELLA (EMILIA)

    Poiché il re Manfredi fu costretto a partire per combattere Carlo, affidò il regno ad Arrighetto Capece, un nobile di Napoli, il quale, venuto a conoscenza della morte del re, non fidandosi della fedeltà dei Siciliani, decise di fuggire dall’isola con la moglie incinta Beritola Caracciola e il figlio Giuffredi, ma i Siciliani lo scoprirono e lo imprigionano insieme ad altri servitori del vecchio re. Tuttavia, la moglie riuscì a salvarsi a Lipari, dove partorì un altro maschio e lo chiamò Scacciato; da lì decisa a ritornare a Napoli dalla sua famiglia, la donna si imbarcò su una nave con i figli e una balia, ma sfortunatamente un forte vento li spinse a Ponza, dove decisero di rimanere finché non si fossero placate le acque. Sull’isola Madama Beritola passò il tempo a piangere il marito ma, non appena si allontanò dai suoi cari per questo, una galea di corsari genovesi rapì i suoi figli e la balia e rubò la loro barca. Mentre Madama Beritola continuava le ricerche dei suoi cari, trovò per caso una grotta in cui si erano riparati due caprioli e la madre e subito offrì loro il suo latte. Alcuni mesi più tardi, approdò sull’isola una nave pisana, sulla quale viaggiava Currado dei Malaspina. Durante una battuta di caccia, questo inseguì i due caprioli fino alla grotta dove trovò la donna che, gli raccontò ciò che le era accaduto. Allora Currado decise di imbarcarla con i caprioli sulla sua nave. I corsari intanto avevano portato i figli di Beritola e la balia a Genova, dove erano stati dati come bottino a Guasparin Doria. La balia, temendo per la vita dei bambini, gli ordinò di fingersi suoi figli e cambiò il nome del più grande in Giannotto da Procida affinché non fosse riconosciuto. Raggiunti i sedici anni, Giannotto iniziò ad imbarcarsi sulle galee del suo. Un giorno arrivò in Lunigiana e lì si mise al servizio di Currado Malaspina della cui figlia ben presto si innamorò; ma dopo lunghi mesi furono scoperti da Currado che, grazie alle preghiere di sua moglie, invece di ucciderli, li incarcerò. Mentre ciò accadeva, il re Pietro d’Aragona liberò la Siciliane, venutolo a sapere Giannotto, decise di rivelare la sua vera identità al carceriere, che subito raccontò tutto a Currado. Quest’ultimo, memore del racconto di Beritola, liberò il ragazzo e la figlia e permise loro di sposarsi. Dopo che Beritola ebbe riconosciuto il figlio, Currado mandò due ambasciatori a Genova e in Sicilia per aver notizie di Scacciato e di Arrighetto. Quando arrivò a Genova, l’ambasciatore rivelò la vera identità di Scacciato a Guasparin Doria, il quale, gli diede in moglie la figlia per scusarsi per averlo trattato come un servo. Riunitisi tutti da Currado per festeggiare i ritrovati parenti e le nozze dei due fratelli, arrivò durante il pasto, l’altro ambasciatore e raccontò che Arrighetto era vivo e che era stato liberato dai Siciliani una volta scacciato Carlo d’Angiò. Dopo i festeggiamenti, partirono tutti per Palermo dove, accolti da Arrighetto fecero una grande festa e vissero lì felici per anni.

    SETTIMA NOVELLA (PANFILO)

    Il sultano di Babilonia Beminedab, per ringraziare il re del Garbo di averlo soccorso durante una battaglia, decise di dargli in sposa la sua bellissima figlia Alatiel. Per questo, la imbarcò insieme ad altre damigelle su una nave che partiva da Alessandria. Erano quasi giunte a termine del loro viaggio, quando dei forti venti spinsero la nave fuori rotta tanto da farla arenare vicino Maiorca. Alatiel, la mattina seguente fu fortunatamente aiutata da Pericon da Visalgo che, subito s’innamorò della bella fanciulla e la portò nel suo palazzo dove la fece ubriacare. E così trascorse con la giovine una felice nottata. Anche il fratello di Pericon, Marato, s’innamorò della ragazza. Essendo approdata sull’isola una nave di due fratelli genovesi, si accordò con loro per rapirla, uccidere il fratello e poi fuggire con la ragazza. Così accadde. Anche i due fratelli però s’innamorarono di Alatiel e, gettato Marato in mare, cominciarono a litigare violentemente e così combatterono fino alla morte di uno dei due. Alatiel e il genovese sopravissuto giunsero così a Chiarenza dove presto si sparse la notizia della bellezza della ragazza, tanto che il principe dell’Acaia la rapì e la portò nel suo palazzo. Anche il duca d’Atene volle vederla e se ne innamorò. Il principe però, non disposto a lasciare al duca la ragazza, si accordò con un certo Cuiriaci per uccidere il principe e rapire Alatiel. Soltanto due giorni dopo la fuga del duca e della ragazza ad Atene, fu ritrovato il corpo del principe insieme a quello di Cuiriaci. Fu così che il fratello del principe organizzò un piccolo esercito e dichiarò guerra al duca. Allora quest’ultimo chiese aiuto all’Imperatore di Costantinopoli, che inviò oltre al suo esercito i suoi figli: Costanzio e Manovello. Anche Costanzio si innamorò di Alatiel e, lasciato il campo di battaglia, fuggì con la ragazza su una piccola nave a Chios dove rimasero fintantoché la ragazza si innamorò di Costanzio. Ma Osbech, re dei Turchi, rapì Alatiel per sposarla. Saputo questo, l’Imperatore di Costantinopoli chiese aiuto al re della Cappadocia che uccise Osbech in battaglia. Alora Antioco, essendo stato raccomandato dall’amico Osbech, di proteggere Alatiel, fuggì con questa e un suo amico a Rodi. Lì però Antioco si ammalò e in punto di morte chiese al giovane di proteggere la sua donna. Trasferitisi a Cipro, Alatiel riconobbe Antigono di Famagosta, servo del sultano di Babilonia suo padre. Si accordò con questo per tornare in patria da suo padre al quale disse che dopo il naufragio in Provenza, era stata soccorsa da quattro cavalieri che l’avevano portata in un monastero di benedettine dove era rimasta per molto tempo fingendo di esser figlia di un mercante di Cipro per paura di essere cacciata a causa della sua religione. Alla fine però era riuscita ad aggregarsi ad un gruppo di pellegrini diretti a Gerusalemme e avendo fatto scalo a Baffa aveva incontrato Antigono e con lui era ritornata a Babilonia. Il sultano, udite queste parole, accolse felicemente la figlia e la fece sposare con il principe del Garbo come d’accordo inizialmente; la prima notte di nozze , Alatiel gli fece credere di essere ancora vergine.

    OTTAVA NOVELLA (ELISSA)

    Durante la guerra tra Germani e Francesi, il re di Francia lasciò il comando a Gualtieri conte d’Anversa. Col tempo la regina s’innamorò molto del Conte e un giorno, si dichiarò. Ma, essendo il conte molto fedele al re, rifiutò la donna, che, per vendicarsi, si stracciò i vestiti e gridò fingendo che il conte stesse abusando di lei. Il conte fu allora costretto a fuggire insieme ai figli Luigi e Violante in Inghilterra. Lì, una nobile signora moglie di un maresciallo del re d’Inghilterra notò la piccola Violante, che, per paura della taglia che il re aveva posto su loro, era stata chiamata Giannetta, e chiese al conte di poterla portare in casa sua per crescerla e averla come damigella. Il padre anche se a malincuore acconsentì e si separò dalla figlia, mentre con Perroto, così era stato rinominato il figlio, andò elemosinando in Galles. Lì, presso un maresciallo del re, assistevano agli allenamenti d’equitazione dei ragazzi. Un giorno il maresciallo, propose al conte di prender con sé Perotto e farlo crescere come suo erede. Allora il conte si trasferì in Irlanda presso un cavaliere e lì visse molto tempo servendolo come garzone. Nel frattempo Giacchetto, il figlio dei signori presso cui Giannetta lavorava, si innamorò perdutamente della fanciulla. Ma quando Giannetta raggiunse l’età giusta per sposarsi, la madre del ragazzo, non conoscendo i sentimenti del figlio, cominciò a darsi da fare per trovare un buon marito alla ragazza, al ché il figlio si ammalò. Nessun medico riusciva a capire ciò che causasse il malore del ragazzo, ma un giorno, mentre un medico tastava il polso dell’ammalato, Giannetta entrò nella stanza e subito i battiti del ragazzo aumentarono. Il medico intuì ciò di cui soffriva il ragazzo e lo raccontò alla madre, che, acconsentì alle nozze dei due ragazzi. Il che avvenne dopo poco tempo. In Galles, invece si abbatté una pestilenza e fortunatamente Perotto riuscì a salvarsi insieme con una contadina, ma il maresciallo e il resto della famiglia morì lasciando a lui tutti i possedimenti. Allora Perotto, innamoratosi della contadina la sposò e ottenne dal re il titolo di maresciallo. Passati 18 anni da quando si era trasferito in Irlanda, il conte decise di andare a vedere come stavano i figli. Andò prima in Galles dove, senza farsi riconoscere, scoprì la felice situazione del figlio Luigi poi, si recò a Londra dalla figlia, anche lì non facendosi riconoscere,dove scoprì che Violante aveva avuto dei bei bambini. Un giorno elemosinando davanti la loro casa fu accolto dentro per riscaldarsi e subito i figli di Giannetta lo abbracciarono e lo coccolarono pur non sapendo chi fosse veramente. Con la morte del vecchio re di Francia e l’ascesa del nuovo, la guerra tra le due potenze si inasprì a tal punto che il monarca francese dovette chiedere aiuto al re d’Inghilterra, il quale inviò in guerra i suoi marescialli. Dunque Perotto, Giacchetto e il conte che serviva il genero in qualità di scudiero furono costretti a partire. Mentre la guerra infuriava, la regina di Francia si ammalò e in punto di morte chiamò il vescovo per l’ultima confessione, al quale rivelò il crudele gesto che aveva compiuto contro il conte d’Anversa. Questa notizia giunse rapidamente al nuovo re che proclamò una grida nella quale si diceva che chiunque avesse riportato al cospetto del re il conte e i suoi figli, avrebbe avuto come ricompensa una grande somma di denaro. Saputo ciò il conte subito rivelò a Giannetto e Perotto la sua identità e disse a Giacchetto di portarlo dal re perché ricevesse la ricompensa come dote per la figlia. E così fu: Giacchetto ricevette il denaro e al conte furono restituite le proprie terre insieme ad altri doni.

    NONA NOVELLA (FILOMENA)

    A Parigi in una locanda vi erano molti mercanti italiani che discorrevano sui loro affari e sul fatto che, se avessero avuto l’occasione, non avrebbero esitato a tradire le proprie mogli con una “scappatella”, poiché essi ritenevano che anch’esse lo facessero. Soltanto uno, di nome Bernabò Lomellin da Genova non concordava su ciò: infatti, si fidava ciecamente ed era così innamorato di sua moglie Ginevra (Zinevra nel testo) che non l’avrebbe mai tradita e che lei avrebbe fatto altrettanto. Udendo questo, un altro mercante, Ambruogiuolo da Piacenza, volle dimostrare che, come tutte le donne, anche Ginevra era volubile, scommettendo con Bernabò che l’avrebbe sedotta in tre mesi e che gli avrebbe portato le prove di ciò che aveva fatto; la posta era 5000 fiorini d’oro se avrebbe vinto, altrimenti ne avrebbe dati 1000 a Bernabò. Fatto ciò, subito partì per Genova e trovò la casa della donna. Accordatosi con una domestica, si nascose in un baule e si fece portare nella stanza da letto di Ginevra. La notte, usciva dal baule, memorizzava la stanza, rubava alcuni anelli e vestiti della donna. Una sera, uscito come suo solito dal baule, scoprì Ginevra e notò che sotto la mammella sinistra aveva un neo un po’ grande con dei peli biondi intorno; essendo questo sufficiente per vincere la scommessa, la mattina seguente uscì dal baule e ritornò di corsa a Parigi, dove, raccontato ciò che aveva visto e mostrato a Bernabò ciò che aveva rubato, non gli rimase che intascare la posta. A quel punto al povero Bernabò non rimase che ritornare a Genova e, gonfio d’ira, stando da alcuni suoi parenti incaricare un suo amico di uccidere Ginevra per punirla così dell’adulterio che non aveva commesso. Secondo gli ordini di Bernabò, quello condusse Ginevra in un luogo isolato e stava per ucciderla ma sotto le preghiere della donna, gli raccontò l’accaduto e non la uccise; si fece però dare i suoi vestiti per portarli a Bernabò in modo da fargli credere che l’aveva uccisa. Ginevra subito fuggì da Genova, si travestì da maschio tagliandosi i capelli e schiacciando il seno e si imbarcò sulla nave del catalano En Cararh come marinaio, facendosi chiamare Sicuran de Finale. Ben presto riuscì ad accattivarsi il capitano ed ad avere incarichi più importanti. Un giorno la sua nave approdò ad Alessandria per consegnare un suo carico al sultano, al quale, piacendogli molto le capacità di Silurano, convinse En Cararh a lasciarglielo ai suoi ordini. Dopo poco tempo, a Silurano fu affidato il compito di vigilare durante i mercati tra cristiani e arabi in Acri; mentre perlustrava i mercati, notò che un mercante (Ambruogiuolo da Piacenza) aveva dei vestiti che le appartenevano, subito gli chiese come faceva ad averli; Ambruogiuolo rise e gli raccontò ciò che aveva già raccontato a Bernabò. Allora Silurano, fingendo di apprezzare quella storia, portò Ambruogiuolo affinché la raccontasse al sultano e fece anche convocare Bernabò, anch’egli lì per affari. Allora smascherò l’inganno del mercante facendolo minacciare dal sultano e rivelando la sua vera identità al marito e agli altri. Il sultano allora obbligò Ambruogiuolo a risarcire Bernabò e inoltre regalò alla coppia ritrovata ori, gioielli e molti 10000 denari: la coppia poté così ritornare a Genova. Ambruogiuolo fu invece cosparso di miele, legato ad un palo e lasciato nel deserto alla mercé degli insetti.

    DECIMA NOVELLA (DIONEO)

    Un giudice pisano di nome Ricciardo di Chinzica, era uomo fisicamente gracile. Piuttosto ricco di famiglia, volle sposarsi una donna molto giovane e bella di nome Bartolomea Gualandi. La festa nuziale fu fastosa, ma già dall'inizio questo marito mostrò scarsa propensione a frequentare la moglie. Il giudice, allora, sentendosi a disagio, cominciò a spiegare alla moglie come certi giorni del calendario vietassero le intimità coniugali; ad essi aggiungeva i giorni di digiuno, le vigilie di apostoli e altri santi; i venerdì, i sabati e la domenica, tutta quanta la quaresima e persino i giorni in cui la luna occupava determinate posizioni. Tutto questo rattristava la sposa, che era anche attentamente sorvegliata dal marito, il quale temeva che qualche altro uomo le insegnasse un calendario senza tutte quelle feste. Ora, un giorno estivo di grande calura, il giudice Ricciardo organizzò una bella gita di pesca; su una barca salirono Ricciardo e i pescatori, mentre sopra un'altra si sistemarono alcune donne assieme alla giovane Bartolomea. Nell'entusiasmo per la pesca si allontanarono un po' troppo dalla riva e furono sorpresi dalla nave corsara di Paganino da Mare che, bloccata la barca dove erano le donne, e, notata la bella Bartolomea, la sequestrò sotto gli occhi di messer Ricciardo che non poté far nulla per evitare la cattura della moglie. Tornato a Pisa il giudice si diede molto da fare per avere notizie della moglie scomparsa, ma nulla. Costei, nel frattempo, era stata portata afflitta e piangente fino a Monaco, sulla Costa Azzurra, che era appunto la sede dei pirati. Paganino, intanto, cercava di consolarla e tanto bene vi riuscì che la sera stessa Bartolomea dimenticò il giudice e le sue leggi e cominciò a vivere lietamente con Paganino il pirata. Dopo qualche tempo messer Ricciardo venne finalmente a sapere dove si trovava la moglie e, imbarcatosi, raggiunse Monaco nella ferma speranza di poter riavere la moglie, pagando anche un costosissimo riscatto. Incontratosi con Paganino, messer Ricciardo venne presto al dunque e Paganino disse che, se veramente la donna che lui aveva sequestrato nel mare di Pisa era sua moglie, pagando il riscatto da lui deciso, messer Ricciardo, poteva riprendersela liberamente. Ricciardo accettò, sicuro che la moglie, rivedendolo, gli avrebbe certo gettato le braccia al collo; invece, giunti in casa di Paganino, Bartolomea guardò il marito facendo finta di non riconoscerlo. Lo stupefatto Ricciardo, colpito da quell'indifferenza, insistette con la donna affinché riconoscesse in lui il suo legittimo marito, ma lei rispose che sarebbe stato poco conveniente guardare troppo un uomo sconosciuto, ma che, per quanto guardasse, non riconosceva nessun marito. Ricciardo allora pensò che la donna facesse così perché temeva Paganino che era lì presente e perciò pregò il padrone di casa di farlo parlare con la moglie a quattrocchi. Paganino acconsentì e i due andarono nella camera della donna dove Ricciardo, con tono appassionato e affettuoso, insistette perché la moglie lo riconoscesse. Bartolomea inizialmente rise in seguito gli rivelò di averlo riconosciuto da subito, ma gli rimproverò anche sfrontatamente il fatto che lui, con la storia delle vigilie, della quaresima e delle altre festività, l'aveva costantemente ignorata, gli ricordò, inoltre, che, se avesse imposto tante festività a coloro che lavoravano le sue terre, non avrebbe raccolto neanche un chicco di grano. E gli disse anche che si era imbattuta in un uomo gagliardo che non conosceva festività di sorta, che era sempre presente con la sua donna e che lei era ben lieta di vivere così; i digiuni e le festività religiose le avrebbe rispettate quando fosse stata vecchia. Messer Ricciardo, scandalizzato da tanta franchezza, provò a insistere ancora, ricordandole i doveri di moglie e le promise che, se fosse tornata a Pisa con lui, avrebbe trovato un marito del tutto diverso, capace di farla contenta. Bartolomea rispose che il suo onore era affar suo e si chiese anche come avrebbe potuto mai cambiare suo marito, visto che era un uomo freddo, indifferente alla sua sposa e che, per quanto si fosse ingegnato, sarebbe stato sempre un disastro. Lei se ne sarebbe stata col suo Paganino e, se poi fosse stata abbandonata, a Pisa non sarebbe tornata di sicuro, perché, tanto, qualunque soluzione sarebbe stata sempre più vantaggiosa di quella di un ritorno al talamo maritale; di conseguenza lo invitava a ripartirsene per Pisa da dove era venuto. Ricciardo se ne tornò così a Pisa dove gli venne una specie di fissazione e, quando incontrava qualche conoscente, si lamentava con lui, che una giovane donna non vuole mai rispettare le solennità religiose; questo stato d'animo lo fece ammalare di un male che lo portò presto a morte. Paganino, saputa la cosa, fu così lieto di sposare regolarmente la vedova e i due, finché poterono, non rispettarono mai le festività religiose.



    In aggiornamento...



    Edited by .N! - 30/9/2010, 22:10
     
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