Capitolo I- Un tramonto rosso sangue

Attack on Titan- Days from a Dramatic Past

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    Capitolo I

    Un tramonto rosso sangue



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    “ Prima non erano altro che voci, leggende o semplici racconti che i viaggiatori narravano mezzi ubriachi nelle locande dei villaggi per far spaventare i meno coraggiosi. Eppure alcuni mettevano davvero enfasi nel raccontarli, quasi fossero esperienze che avevano vissuto sulla propria pelle: c’era chi diceva di aver visto il proprio amico divorato vivo,
    chi aveva visto la propria casa ridotta ad un cumulo di macerie e chi infine si era ritrovato con la propria famiglia spazzata via. Nessuno ha mai voluto credere a queste storie, anche se le voci continuano a diffondersi, sempre di più, come un’epidemia inarrestabile. Nessuno ha mai voluto accettare che esiste un vero pericolo per l’umanità, un pericolo alto quindici metri che non ha altro obiettivo se non divorarci. I giganti. Non so cosa accadrà, ma se non reagiremo, saremo noi a diventare solo un racconto.”

    Katya Monford



    Anno 735




    < Isabel! > i suoi occhi smeraldini saettarono da una parte all’altra alla ricerca della persona che l’aveva chiamata. Ivy, sedeva assisa su un muretto in roccia che costeggiava l’intero tragitto fino alle porte di Igleas, il villaggio dove abitavano, e la fissava con uno sguardo indagatore.
    < Che c’è? > la ragazza, fino a poco prima coricata in mezzo al campo di fiori, stava ricambiando quello sguardo, quasi fosse una sfida.
    < Stavo pensando ad una cosa… > la rossa alzò lo sguardo al cielo che pian piano preannunciava l’avvento del tramonto, quasi come se non volesse ultimare la frase.
    < Cosa? > anche Isabel osservò il cielo, passandosi una mano nei capelli neri a caschetto.
    < Hai sentito le voci sui… ehm… sui giganti, vero? > c’era una nota di timore nella sua voce, anche se era solo un anno più piccola di lei sembrava quasi una bambina con quegli occhi grandi color noce.
    < Sì, prima ne parlavano soltanto nelle locande, ma ormai la gente non parla d’altro. Se lo bisbigliano di continuo e c’è anche qualcuno che ha in mente di andarsene da Igleas… > si lasciò andare nuovamente in mezzo al prato di fiori gialli, sospirando.
    < Ecco, tu cosa ne pensi? Secondo te esistono? > un contadino attraversò la strada battuta con il suo carro carico di fieno e le due rimasero in silenzio finché quest’ultimo non scomparve alla vista.
    < Come mai tutte queste domande, Ivy? Sembri Olven, il comandante delle guardie > la ragazza sghignazzò, ma la sorella rimase impassibile.
    < E’ solo che penso che non dovremmo sottovalutare la cosa. Non si tratta più di una semplice storiella: avrai notato che la gente è molto tesa ultimamente, anche nel villaggio > la rossa lanciò uno sguardo all’agglomerato di case circondato dalla palizzata dal quale spuntavano le prime luci, pronte a sfidare le ombre della notte.
    < E con questo? La gente è sempre stata suscettibile a questa cose. Ascolta, hanno raccontato storie su storie, testimonianze su testimonianze, ma non abbiamo alcuna prova che questi giganti esistano. Ti pare? E anche se fosse, non ti sembra un po’ eccessivo? > una leggera brezza attraversò quel tratto di terra, rilasciando una dolce fragranza di fiori e lavanda.
    < Eccessivo? > gli fece eco Ivy che nel frattempo era tornata a far dondolare le gambe contro il muretto.
    < Sì, eccessivo. Dicono, alcuni, che questi giganti stanno lasciando terra bruciata alle loro spalle e non ci sia niente che possa fermarli. Cos’è? Sono spuntati dal nulla tanto per far fuori la gente? > il suo tono scontroso derivava dal semplice fatto che la questione dei giganti aveva avuto ripercussione negative sull’intero villaggio e anche sulla sua famiglia, compresa Ivy che era diventata pensierosa, silenziosa e talvolta anche asociale. Dopotutto, anche lei era preoccupata o perlomeno iniziava ad avere qualche timore su quella faccenda dai toni macabri e surreali.
    < Però Hillar… > Ivy si incupì di colpo.
    < Hillar? >
    < Sì, Hillar è una città commerciale a circa 150 chilometri da qui con cui Igleas commercia per ottenere merci industriali in cambio di vettovaglie… >
    < Questo lo sapevo > la interruppe Isabel.
    < Beh, non riceviamo notizie di Hillar da quasi una settimana e nessuno vuole andare a vedere cos’è successo. > non aggiunse altro e quella frase, in quel preciso contesto, le fece gelare il sangue nelle vene.

    Rimasero in silenzio, per alcuni minuti, mentre il cielo si tingeva di rosso ed arancione, vessilli splendenti che annunciavano l’arrivo del manto notturno e della bianca luna. Dai tetti di Igleas iniziavano ad innalzarsi piccoli fili di fumo e ben presto le guardie avrebbero chiuso le porte della palizzata in vista della notte.
    < Dovremmo ritornare… sta per fare buio > disse Ivy per spezzare quello stesso silenzio che aveva generato. Isabel si limitò ad annuire.
    < Tu inizia ad andare, io rimango qui altri cinque minuti >
    < Perché? > chiese l’altra, colpita da quell’affermazione.
    < Ho bisogno di restare un po’ da sola> rispose < Non preoccuparti, sto bene > aggiunse, notando lo sguardo perplesso della sorella.
    Ivy scese dal muretto con un balzo felino dopodiché fece spallucce, incamminandosi verso il villaggio.
    < Ah Ivy, se incontri Dom digli che devo parlargli il prima possibile. D’accordo? > si affrettò a dire.
    < D’accordo > ripete la rossa, agitando la mano per salutare. Isabel ricambiò e si riaccomodò a terra, tornando ad osservare il cielo che ora presentava sfumature tra il lilla e l’ambra, uno spettacolo mozzafiato che ben pochi sapevano ancora apprezzare.

    Ormai lei aveva quasi diciassette anni ed Ivy sedici, erano abbastanza grandi da capire come funzionasse la vita fuori dalle mura protettive della propria casa, ma ora si chiedeva: fino a che punto?
    L’ultima frase di Ivy l’aveva inquietata e non poco, anche se lei non voleva darci troppo peso, e continuava a riflettere su cosa potesse significare.
    Dopotutto, poteva essere successa qualsiasi cosa ad Hillar e per paura i commercianti, o chiunque altro, avevano rifiutato di andare a controllare. Non doveva preoccuparsi più di tanto, non l’aveva mai fatto in riferimento a quella storia.

    Eppure, quel senso di inquietudine non voleva abbandonarla, come se volesse dirle qualcosa. Strinse una mano intorno al petto, stropicciando la camicia bianca ormai sporca di terra, e respirò affannosamente quasi avesse un groppo alla gola.
    “ Che diavolo mi prende? “ si chiese dopo aver trascorso quasi un minuto in quello stato. Inspirò profondamente e ritornò a fissare le prime stelle che apparivano in cielo, dove il sole aveva già ceduto il suo trono, scacciando dalla mente tutti quei pensieri e tentando di calmarsi in qualche modo.
    Doveva starsene tranquilla: presto sarebbe ritornata a casa, avrebbe cenato con la sua famiglia, trascorrendo la serata ad allenarsi con Ivy per diventare soldatesse. Dopodiché, il giorno dopo si sarebbe incontrata con Dom e gli altri per chissà quale altra bizzarra idea. La vita sarebbe continuata ad andare avanti in quel modo, come aveva sempre fatto, storie sui giganti o meno.
    Sospirò, incrociando le braccia sotto la testa, pensando che dopotutto aveva dato troppo peso alla frase di sua sorella e quel che le ci voleva era una bella dormita.

    Stava per alzarsi quando udì un suono, in lontananza, provenire dal boschetto poco più avanti che divideva il villaggio dai campi coltivati.
    Non aveva capito bene di cosa si trattasse, ma sembrava il rumore di un albero che cadeva, una cosa più che normale, forse il boscaiolo Fred che si era trattenuto più del solito.
    Un piccolo stormo di uccelli volò via dalle fronde degli alberi, fuggendo come spaventati da qualcosa che si aggirava nel bosco.
    Isabel rimase immobile, più confusa che altro. Era forse stato l’albero abbattuto a farli scappare? Stava per avvalorare quella tesi e tornarsene a casa quando lo sentì distintamente: un passo, un semplice passo ma più marcato.



    Un passo e poi un altro e un altro ancora, passi che pian piano si susseguivano uno dopo l’altro sempre più pesanti. Un altro stormo d’uccelli fuggì svolazzando dal bosco, dirigendosi verso i monti a ovest. Perfino il vento si era fermato e i suoni provenienti dal villaggio giungevano sommessi così che Isabel potesse udire quei passi, che si facevano sempre più insistenti e vicini, come il battito di un cuore.

    Quel senso di inquietudine tornò a farsi sentire, più forte di prima, tanto che le sembrava di avere qualcuno che le stringeva una mano intorno al collo per strangolarla.
    Arretrò di qualche passo, intimorita da qualsiasi cosa generasse quei passi, voleva fuggire per lasciarsi tutto alle spalle, ma una tremenda curiosità la spinse a restare.
    Il sole era ormai basso e lanciava i suoi ultimi raggi proprio verso il boschetto quando lo vide: un essere antropomorfo che si dondolava tra gli alberi, alto almeno sei metri, completamente nudo, dalla folta chioma castana e dallo sguardo vuoto.
    Isabel si sentì morire dentro e si accorse di non riuscire a muovere neanche un muscolo.

    L’essere continuò la sua avanzata, senza averla ancora notata, e dopo ogni passo la luce del sole lo illuminava sempre di più rendendo la sua figura infernale.
    La ragazza si accovacciò di colpo in mezzo ai fiori, spinta da chissà quale impeto, ma non distolse lo sguardo: l’essere teneva tra le sua mani qualcosa, ma da quella posizione non riusciva a vedere bene cosa fosse.
    Solo quando quest’ultimo avanzò ancora di qualche passo la triste verità si mostrò ai suoi occhi: in mano non teneva qualcosa, ma qualcuno, e quel qualcuno era Fred!

    L’uomo si dimenava, seppur ferito alla testa, e tentava in ogni modo di sfuggire a quella salda presa che lo stringeva intorno al torace e alla vita.
    < Oh mio Dio … Fred… > sussurrò la ragazza bloccata dal terrore.
    Il gigante si fermò, a qualche metro da lei, portando la sua attenzione al povero boscaiolo che continuava a tirare pugni contro l’enorme mano, con scarsi successi. Tutto accadde in pochi attimi: il gigante prese Fred con entrambe le mani , afferrando un braccio del malcapitato con la sinistra e la gamba con la destra, e con un sol colpo lo spezzò a metà come se fosse stato un pezzo di carta.
    Fiotti di sangue e budella si riversarono addosso all’essere che sembrò quasi sorridere, soddisfatto del risultato, mentre ingurgitava con gusto le gambe, spappolando la carne e sbriciolandone le ossa.
    Assuefatto da una sorta di fame morbosa, il gigante prese il busto del povero Fred e divorando entrambe le braccia con due morsi gettò il resto del corpo verso il prato in cui si trovava Isabel.

    Ciò che restava di Fred rotolò in mezzo ai fiori di lavanda, fermandosi a pochi centimetri dalla ragazza che per poco non vomitò a quella vista: un busto insanguinato, con i segni dei morsi visibili sulla carne e sulle vesti, e sul volto l’espressione del puro terrore, mista alla paura asserragliata negli occhi ormai vuoti. Isabel distolse lo sguardo, tremante e con le lacrime agli occhi, mentre il gigante concluso il pasto si accingeva a riprendere il suo tragitto, proprio verso di lei. Quella figura infernale, sporca di sangue e resti umani, con quel sorriso così sadico e spettrale, avanzava lentamente verso di lei, con una calma disumana, quasi sapesse che era letteralmente bloccata dalla paura.

    I giganti esistevano, i giganti erano arrivati e lei… lei ne aveva proprio uno di fronte.
    Posò entrambe le mani sulla bocca, tremando come una foglia, con il volto e le vesti macchiate dal sangue di Fred, mentre la mole dell’essere ormai la oscurava.
    < Oh no… > furono le uniche parole che riuscì a pronunciare, mentre la terra si tingeva dello stesso colore del cielo.

    Edited by °Forfeus° - 7/9/2013, 12:52
     
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