Capiiolo IV- Notte spaventosa

Attack on Titan- Days from a Dramatic Past

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  1. °Forfeus°
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    Capitolo IV

    Notte Spaventosa


    Zl5Wjtg

    “ L’umanità, fin dal primo incontro con i titani, ha iniziato a catalogarli, a studiarli, perché ha sempre fatto così con i propri nemici.
    Conosci il tuo nemico e potrai sconfiggerlo. Ebbene i titani sono creature dalle sembianze umane, ma alte dai tre ai quindici metri: non hanno organi genitali, non presentano una grande intelligenza o qualcosa che si avvicini al concetto di emozioni, non hanno bisogno né di cibo né di acqua, ma continuano a divorare gli esseri umani senza un apparente motivo.
    Curioso, vero? L’uomo ha sempre vissuto di motivazioni, di convinzioni, e ora che la sua stessa specie sta scomparendo pian piano senza un motivo valido la sua povera mente va in tilt, conducendolo ad una lenta ma inesorabile follia.
    Ciò che l’umanità non riesce ad accettare è la capacità rigenerativa dei titani, che permette loro di guarire da ferite gravi in poco tempo. Questo non basta per scoraggiare l’uomo? Beh, vi basti sapere che non tutti i titani sono “stupidi” alcuni di loro sono, anomali, e possono adattarsi… e pensare”

    Katya Monford




    Continuavano a galoppare in mezzo alla foresta, seguendo il sentiero battuto che si diramava tra gli enormi alberi, con la pallida luce della luna che filtrava tra una chioma e l’altra.
    Continuavano a galoppare in mezzo alla foresta, senza una meta ben precisa, volendo solo allontanarsi da quell’orrore, da tutta quella morte, spingendo i cavalli al limite perché ogni metro guadagnato era un metro che li divideva da quei mostri.

    Nessuno dei tre aveva voglia di parlare, sopraffati dai ricordi ancora vividi di quella notte che li avrebbe segnati per il resto delle loro vite: Dom lanciava freneticamente sguardi a destra e a sinistra, sperando di non intravedere qualche enorme sagoma, si vedeva lontano un miglio che stava sudando freddo.
    Ivy, con il volto pallido e due occhiaie nere sotto i suoi grandi occhi tentava di restare con i nervi saldi, temendo di perdere il controllo del cavallo e con una paura matta di voltarsi indietro.

    Infine c’era Isabel, poggiata con la testa contro la schiena della sorella: l’occhio destro le faceva un male cane e sentiva distintamente che la benda stava gocciolando, inzuppata del proprio sangue, ma non era quello che la preoccupava, troppo presa dal continuare a fissare le mani macchiate del sangue di Katryn.

    Continuava a rivedere quella scena all’infinito, aveva ucciso quella povera ragazza, ma ripeteva a se stessa che aveva fatto la cosa giusto, che Katryn ora si trovava in un posto migliore e non in quella follia vivente chiamata terra.
    < Dom, dove stiamo andando? > chiese Ivy, chinando la testa per evitare il vento che le stava tagliando la faccia galoppando a quella velocità.
    < Non lo so, dannazione, non lo so! > rispose lui, aizzando ancora di più il proprio cavallo.
    < Dom… > la rossa lo chiamò, facendo schioccare le briglie per raggiungerlo. Il giovane non rispose, troppo preso a cercare una soluzione, in mezzo a quella foresta tetra.
    < Dom… > ogni albero sembrava uno di quei dannati giganti, ogni ombra veniva allungata all’inverosimile dalla luce lunare, proiettando figure inesistenti, ma pur sempre inquietanti.
    < Dom! > esclamò la rossa, urlandoglielo quasi in faccia.
    < Cosa c’è?! > era visibilmente teso, non aveva mai risposto in quel modo ad una ragazza. Respirò a grandi boccate per calmarsi.
    < Isabel ha bisogno di riposare, ha perso molto sangue e c’è qualcosa che l’ha turbata molto. Continua a fissarsi le mani con uno sguardo terrorizzato >quel tono così calmo e materno colpì Dom che ripensò al semplice fatto che Ivy non sapeva della morte di Katryn .
    < D’accordo, ci fermeremo un po’, giusto il tempo di vedere come sta Isabel > rispose e la ragazza sorrise lievemente. Ormai era da più di mezz’ora che cavalcavano ininterrottamente in quella foresta senza fine, dovevano aver guadagnato del tempo prezioso.

    Così arrestarono quella corsa disperata, anche per far riprendere un po’ i cavalli e posarono Isabel contro il tronco di un grande albero, sedendosi accanto a lei:
    < Come ti senti, Isa? > domandò Dom, sfilandole la benda ormai diventata rossa: l’occhio destro era semichiuso, circondato da tanti tagli che con ogni probabilità sarebbero diventati cicatrici e che continuavano a sanguinare.
    < Sangue… tutto quel sangue > sussurrò la ragazza mostrando le mani ai suoi compagni.
    < Sta tranquilla, siamo al sicuro adesso > la rassicurò il ragazzo, strappandosi una manica della tunica per creare una benda: era l’unica cosa che poteva fare non avendo medicinali e nemmeno dell’acqua.
    < Isa cos’è successo? > Ivy si avvicinò alla giovane che continuava a fissare il vuoto, come in trance. Dom si rialzò, sospirando:
    < Voi due restate qui, io vado a vedere se trovo un po’ d’acqua. Se la memoria non mi inganna da queste parti dovrebbe esserci un piccolo ruscello che sfocia nel fiume principale. Torno subito > disse, allontanandosi, sfruttando la luce della luna per orientarsi in quel labirinto di alberi ed ombre.

    L’idea di lasciare le due ragazze da sole non gli andava molto a genio, ma la ferita di Isabel andava disinfettata, o rischiava di perdere per sempre l’occhio destro, nel peggiore dei casi.
    Oltrepassò alcuni tronchi abbattuti, non facendoci più caso di tanto, e in mezzo a quella penombra riuscì a scorgere delle figure sedute accanto ad un fuoco di bivacco: delle persone! Qualcuno oltre a loro tre era riuscito ad allontanarsi da Igleas, arrivando nel cuore della foresta, accampandosi.

    Magari erano conoscenti, magari avevano dei medicinali con loro, o del cibo: non toccava cibo dall’ora di pranzo, i morsi della fame iniziavano a farsi sentire, e probabilmente le ragazze stavano provando la stessa sensazione.
    Un barlume di speranza si riaccese nel suo cuore, mentre si avvicinava a quel gruppo di sopravvissuti, scacciando quel cupo pensiero di essere gli unici abitanti di Igleas ancora vivi.
    < Ehi voi, sono Dominic, il figlio del fabbro Numok > disse, optando per la presentazione nel caso ci fossero stati dei conoscenti, ma non ottenne alcuna risposta.
    Si avvicinò ancora di più, cominciando a vederci meglio grazie al bagliore del fuoco.
    < Credevo che solo noi fossimo riusciti a… > si interrupe di colpo e una smorfia d’orrore mista a rabbia apparve sul suo volto: le fiamme cremisi del fuoco stavano illuminando le persone con cui aveva tentato di parlare, o almeno ciò che ne restava.

    Cadaveri, c’erano cadaveri dovunque e quelle che gli erano sembrate persone non erano altro che involucri con il torace squarciato e senza organi. Uno spettacolo orripilante: i resti di uomini, donne e perfino bambini giacevano sparsi intorno a quel bivacco, inzuppando la terra di sangue e budella.
    Braccia, gambe, torsi mutilati orribilmente, tutti abbandonati a terra come se fosse passato un tornado fatto di lame e spade.
    Arretrò di qualche passo, disgustato, urtando il corpo senza vita di qualcun altro a cui mancava tutta la parte sinistra.
    < Oh merda, Frank… > sibilò distogliendo lo sguardo. Un altro corpo mutilato e senza testa penzolava appeso ad un albero, un altro ardeva sul fuoco, emanando un odore nauseabondo di carne bruciata e un terzo era stato maciullato tanto da diventare un colabrodo. Sentì i coniati di vomito salirgli e tentò di non vomitare anche l’anima, doveva assolutamente tornare indietro ed avvisare le ragazze, ma sì sentì afferrare un piede:

    < Dom… sei tu? > udì un flebile sussurro e abbassò lo sguardo: era Karl, uno dei suoi amici d’infanzia, con entrambe le gambe mozzate e poteva vedere i segni dei morsi nella carne.
    < Cazzo, Karl, che diavolo è successo qui? > chiese, inginocchiandosi.
    < Eravamo più di quaranta persone, Dom, quaranta… > il ragazzo sputò sangue, ormai al limite < Ci eravamo accampati per recuperare un po’ di forze dopo la fuga quando è apparso dal nulla > proseguì, ansimando.
    < Chi, Karl? Chi ha fatto questo? > stava stringendo la mano insanguinata del proprio compagno, un ultimo gesto d’affetto che ogni persona in fin di vita desiderava ricevere.
    < Era uno solo, un solo titano! Ha divorato venti dei nostri come se niente fosse e si è divertito a trucidare i restanti> Karl afferrò la tunica del giovane con le ultime forze che gli restavano < Era diverso, Dom, non era come gli altri. I titani non si muovono di notte, ci hanno sempre detto così, ma questo… era diverso. Devi fuggire… lui è ancora… > Karl fu scosso dagli spasmi e si accasciò a terra, inerme.



    Dom socchiuse un attimo gli occhi, stringendo un’ultima volta la mano del proprio compagno, per poi correre a perdifiato verso le due ragazze, lasciandosi alle spalle quel massacro.
    Un lampo illuminò quasi a giorno la zona, seguito da un tuono che squarciò l’aria con il suo rombo, preludio di un temporale.
    In pochi minuti riuscì a ritornare nel luogo dove si erano fermati, mentre le prime gocce di pioggia cominciavano a cadere giù dal cielo, e trovò le ragazze così come le aveva lasciate.
    < C’è un problema… > iniziò a dire, ma un urlo disumano che riecheggiò tra gli alberi lo fece rabbrividire: doveva essere quel titano.
    < Che cos’è? > chiesero all’unisono le due sorelle.
    < Un grosso problema… > un altro lampo illuminò la foresta e in lontananza intravide due occhi gialli che lo fissavano da un’altezza di almeno otto metri <andiamo via!> esclamò, balzando a cavallo e altrettanto fecero le ragazze senza farselo ripetere due volte.

    La terra iniziò a tremare alle loro spalle, mentre la pioggia cominciava a scendere furiosa sulla foresta e su di loro, generando un ticchettio incessante che veniva sovrastato solo dalle urla del mostro.
    < Continuate a correre! > urlò il giovane, spronando il proprio cavallo, sentendo ogni singolo passo di quell’essere che riecheggiava come un rombo di tuono.
    Abbandonarono il sentiero, infilandosi tra gli alberi, evitando accuratamente di non finire contro uno di essi, per seminare il mostro, ma il titano abbatteva ogni albero che incontrava con una facilità estrema, continuando ad urlare in modo acuto, un urlo che stava distruggendo i timpani dei tre ragazzi e mettendo a dura prova la loro mente.

    La pioggia riduceva la visibilità, ormai erano bagnati fradici, ma nonostante continuassero a cambiare tragitto ogni minuto, quell’essere proseguiva il suo inseguimento, lasciando solo devastazione alle sue spalle.
    Quella fuga disperata proseguì, ancora e ancora, con i tre ragazzi che sentivano di essere sempre più braccati.
    < Ci sta raggiungendo! > esclamò disperata Ivy e in quello stesso istante il titano balzò in aria, sovrastandoli e atterrando davanti a loro. I cavalli impennarono per lo spavento e tutti e tre si ritrovarono ben presto a terra, bagnati e sporchi di fango.
    L’ennesimo lampo illuminò la notte, seguito da un fulmine che precipitò con violenza in lontananza e lo videro: il titano li stava fissando con i suoi occhi gialli simili a quelli di un gatto, le gocce d’acqua scivolavano lungo il suo fisico snello, ma al tempo stesso muscoloso e la carnagione grigiastra lo rendeva spettrale.
    Il titano sghignazzò, le sue cornee nere sembrarono brillare seminascoste dalle ciocche di capelli neri, allungò la mano per afferrare Ivy che stava strisciando a terra terrorizzata, ma accadde l’impossibile: un sibilo, due cavi d’acciaio che sfrecciarono tra i ragazzi e il titano, un suono acuto e il rumore di qualcosa che strisciava sulla terra inzuppata dalla pioggia.
    I cavi tentennarono sibilando sotto i colpi della pioggia e dal nulla apparve una figura incappucciata che roteando su se stessa e brandendo due spade tranciò di netto la mano del titano che per poco non schiacciò la povera Ivy.



    Il titano arretrò tenendosi il braccio mutilato con l’altra mano e urlando furibondo, mentre gli alberi tremavano intorno a lui.
    I tre ragazzi fissarono sbigottiti l’esile figura che continuando a volteggiare in aria grazie a quei cavi e sprigionando del gas dal congegno che teneva dietro la schiena, volteggiò attorno ad un grande albero, staccò e lanciò nuovamente i cavi verso un altro tronco e fece scattare nuovamente il gas, atterrando a pochi passi da loro e dalla mano del gigante che stava evaporando.
    Indossava un mantello con cappuccio che gli copriva parte del volto, ma l’attrezzatura legata alla vita e le lame brillavano sotto la pioggia, illuminate dei lampi.

    Con un gesto fece ritirare i cavi metallici e osservando il titano con aria di sfida disse:
    < Ci rincontriamo figlio di puttana! Questa volta non la farai franca… > puntò una delle lame verso il mostro che sghignazzò, mentre la mano gli ricresceva.

    Isabel non sapeva chi fosse, ne tantomeno da dove fosse arrivato, ma sapeva il fatto suo e li aveva appena salvati da una morte certa.
    Non riuscì a vederlo in faccia, ma
    sul mantello c’era uno stemma che la colpì: erano due ali, una bianca e l’altra blu.
    Due ali, due ali su uno scudo.

    Edited by °Forfeus° - 7/9/2013, 13:03
     
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  2. ¬Snøøpy˜
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    Wow :o: che bel colpo di scena ;) sto iniziando a recuperare tutti i capitoli
     
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  3. Nikki_Kurenai
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    La parte in cui Dom trova i cadaveri nella foresta è descritta benissimo! Cavolo, pensavo avesse trovato finalmente qualche sopravvissuto e invece…t’oh, sorpresa!
    Splendido finale di capitolo *-* comincia ad appassionarmi **
     
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2 replies since 29/8/2013, 20:29   124 views
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