Capitolo VI- La Squadra Delta

Attack on Titan- Days from a Dramatic Past

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  1. °Forfeus°
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    Capitolo VI

    La Squadra Delta


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    “Sono passati più di due anni da quella notte, eppure vedo ancora Igleas in fiamme, sento le urla delle persone e tutti quei morti sembrano perseguitarmi. Ogni volta che ci penso la cicatrice all’occhio mi fa male, ma sto iniziando a farci l’abitudine.”

    < Dom, Ivy, voi due pensate al classe sei a sinistra, io ed Isabel penseremo al classe dieci a destra. Occhio ai due classe tre alle nostre spalle!> ordinò il tenente sfrecciando tra i rami.
    < Roger! > risposero all’unisono la rossa e Dom, facendo scattare il gas.

    “ Da quella notte Alan ci ha preso sotto la sua custodia e ci ha addestrati nell’utilizzo del dispositivo di manovra tridimensionale. Anche Ivy e Dom si sono offerti volontari, ed Alan ci ha consegnato le divise e l’attrezzatura dei suoi compagni caduti. La mia apparteneva al caporal maggiore Elisabeth Argo, due anni più grande di me…”

    < Isabel, tattica della ghigliottina, sii la lama! > Alan si lasciò librare in aria alcuni secondi per poi scendere fino a toccare terra.
    < Affermativo! > esclamò la ragazza alzandosi di quota grazie al gas.

    “Non avendo un campo d’addestramento specifico, Alan ci ha addestrato a modo suo: direttamente sul campo di battaglia. Non abbiamo imparato ad usare i cavi, il gas compresso e la coordinazione dei movimenti per prepararci a qualcosa, ma per necessità. I primi tempi è stata dura abituarsi al peso dell’attrezzatura, allo sforzo fisico e allo stress mentale, eppure ora siamo capaci di affrontare i titani a testa alta.”

    < Adesso! > il tenente scattò in avanti, colpendo le gambe del gigante che stava inseguendo la carovana: l’essere cadde sulle ginocchia, arrestando la caduta con le mani e in quello stesso istante Isabel calò dal cielo turbinando, tranciando la nuca del mostro che si accasciò con un singolo gemito, facendo tremare gli alberi circostanti.
    Dall’altra parte Dom e Ivy, incrociandosi, staccarono la testa del gigante dal resto del corpo che proseguì la corsa per alcuni attimi, arrestandosi contro un tronco con un tonfo sordo.

    “Abbiamo viaggiato a lungo, spostandoci di paese in paese, di città in città, offrendo la nostra protezione in cambio di un letto dove dormire e di un pasto caldo. Non avendo più una casa dove tornare, il mondo è diventato la nostra casa, ma questo mondo sta finendo in rovina sotto la piaga dei giganti. I territori occupati dagli uomini diventano sempre meno e la gente sta iniziando a fuggire verso le grandi mura…”
    Isabel e Dom riattivarono il 3D per eliminare i due classe tre nelle retrovie, mentre Alan infliggeva il colpo di grazie al classe sei con il supporto di Ivy. La carovana proseguiva la sua fuga.

    “ Ho sentito più volte nominare queste grandi mura, ma il tenente non ci ha ancora voluto dire nulla a riguardo. So soltanto che si tratta di un grande rifugio per l’umanità, dove i sopravvissuti sperano di trovare scampo, per fuggire da quest’orrore. Forse anche i miei genitori sono lì.”

    I cavi d’acciaio sibilarono davanti agli occhi dei due classe tre che poco dopo si ritrovarono con la nuca squarciata. I due corpi senza vita scivolarono a terra, alzando una nuvola di polvere, lasciandosi alle spalle una lunga scia di sangue.
    I due soldati balzarono su un lungo ramo, ritirando i cavi con un clic del grilletto.

    “ Per ora siamo alla ricerca dei sopravvissuti della squadra delta, il tenente afferma che sono ancora vivi poiché duri a morire, e ci stiamo dirigendo verso una grande città chiamata Aurora. Stiamo facendo il possibile per aiutare la gente a fuggire, ma i giganti avanzano inesorabilmente e per ogni persona che salviamo ne vengono divorate altre dieci. Questa storia non avrà mai fine, vero? Rivoglio la mia vita…”


    < Diamine, così è fin troppo facile > sbuffò Dom osservando il sangue che evaporava sulla sua lama.
    < Mai sottovalutare i giganti, Harnev, questi erano distratti dalla carovana e anche abbastanza stupidi, ma nonostante ciò potevano essere letali se sopravvalutati > lo rimproverò il tempo che nel frattempo li aveva raggiunti < Muoviamoci, la carovana sta avanzando > aggiunse, riprendendo a “ volare “ tra un albero e l’altro e il resto della squadra lo seguì.



    Fu in quel momento che apparve dal nulla un classe quindici:
    < Merda, classe quindici ad ore tre! Sta puntando la carovana! > esclamò Isabel intravedendo l’enorme sagoma che correva in mezzo agli alberi.
    < Fermatelo! > Alan accelerò, puntando direttamente verso il mostro, ma fu costretto a rallentare per evitare due pini sradicati che stavano precipitando.
    < Tre classe sei e un altro classe dieci a ore nove! > la voce di Dom annunciò l’arrivo di altri giganti, la situazione stava degenerando.
    < Capitano, che cosa facciamo? > chiese Isabel.
    < Formazione a ventaglio, eliminateli, dannazione, eliminateli! > ordinò, ma era troppo tardi: il classe quindici investì in pieno la carovana distruggendo due dei tre carri e uccidendo almeno otto persone.
    Isabel e Ivy puntarono al classe dieci riuscendo a rallentarlo lesionandogli i legamenti delle gambe e Dom eliminò uno dei due classe sei, ma gli altri due avanzarono con le lingue fuori dalla bocca, iniziando a banchettare con i sopravvissuti della carovana.
    < Cazzo, no! > Alan evitò il gancio del gigante che ridusse in frantumi un abete, osservando inerme la disfatta della carovana. Un classe quindici in quelle circostanze era difficoltoso anche per lui e gli altri suoi “amichetti” peggioravano solo la situazione.
    Doveva pensare ad una soluzione ed anche in fretta. Stava per lanciarsi di nuovo all’attacco, tentando il tutto per tutto, quando un urlo acuto e terrificante riecheggiò in tutta la zona: Dom si inginocchiò su un ramo, ponendo le mani sulle orecchie e con un’espressione di dolore dipinta sul volto, Ivy perse il controllo del 3D e rischiò di precipitare ma fu afferrata da Isabel che si era aggrappata ad un tronco con una delle lame e Alan barcollò come stordito.
    < Che diavolo è? > urlò Dom tentando di sovrastare quelle grida disumane.
    < Non lo so! > risposte Isabel portandosi una mano alla testa e mordendosi alle labbra.
    < Fatela smettere, fatela smettere! > Ivy stava soffrendo come se fosse finita in mezzo ad un rogo.
    Quell’urlo si protrasse per una ventina di secondi e i giganti prima si volsero nella direzione da cui proveniva e poi fuggirono, come spaventati.
    Il quartetto, ripresosi da quello strano evento, controllò che la zona fosse sicura e raggiunse ciò che restava della carovana: corpi maciullati, carri distrutti e merci sparse dovunque, non c’erano sopravvissuti, solo i cavalli erano rimasti lì, quasi ignari del massacro.
    < Dannazione! > Dom colpì una piccola cassa con il piede, facendola rotolare qualche metro più in là < Perché deve sempre finire così? Perché?! >
    < Calmati Dom > sibilò Isabel che si stava sincerando delle condizioni della sorella.
    < Che cos’era quell’urlo? Era spaventoso, mi ha causato un forte dolore alla testa > Ivy era visibilmente pallida.
    < Qualunque cosa fosse, non promette niente di buono > osservò Alan che stava controllando i cadaveri dei civili che fino a poco prima stavano difendendo.
    < Quella cosa mi ha stordito > disse Dom, che si era calmato dopo la breve sfuriata <era come avere un sibilo acuto che ti fischia dentro il cervello >
    < Non mi convince, tenete gli occhi aperti. Se ha fatto scappare perfino un classe quindici vuol dire che è qualcosa di pericoloso > aggiunse il tenente riponendo le lame al loro posto, la battaglia poteva reputarsi conclusa.
    < E adesso che cosa facciamo? > chiese la rossa.
    < Semplice, prendiamo questi cavalli e proseguiamo fino alla prossima cittadina, Litia. Ormai qui non possiamo fare più nulla. Il sole è sorto solo da poche ore, abbiamo ancora molto tempo per viaggiare. Mettiamoci in marcia > i tre ragazzi annuirono, lanciarono un’ultima sguardo alle ennesime vittime di quella “guerra” e balzando a cavallo partirono per la loro prossima destinazione.

    […]

    Giunsero a Litia nelle prime ore del pomeriggio, dopo aver consumato un pasto frugale tra le pareti diroccate di una vecchia torre d’osservazione e senza aver incontrato più giganti sul loro cammino.
    Litia era una piccola cittadina sulla Calandrica, la grande strada commerciale che diramandosi tra foreste, pianure e monti giungeva fino ad Aurora. Una piccola cinta muraria scura circondava gli edifici
    in pietra posti intorno alla grande piazza del mercato.
    Era una cittadina come tutte le altre e se non fosse stato per le squadriglie di guardie che pattugliavano le mura e le strade, la vita poteva sembrare quella pacifica e serena di un tempo.
    Come al solito, non appena misero piede in città gli sguardi di tutti i presenti ricaddero su di loro e sull’attrezzatura che portavano legata alla vita: da tempo si era sparsa la voce di guerrieri “volanti” che abbattevano i giganti con strane tecniche, cavi e spade sottili ma affilatissime, e probabilmente quelle voci a giudicare dagli sguardi degli abitanti e dal vocifero che li circondava era giunta anche lì.

    Di solito apprezzavano i complimenti della gente che li invitava a combattere al meglio e li ringraziava per gli enormi sforzi che stavano affrontando per difenderli, ma dopo quello che era successo all’ultima carovana cercavano di tutto, tranne che attenzioni.
    Decisero di far perdere le loro tracce attraversando alcune strade secondarie, finché non giunsero ad una taverna chiamata “Il Picchio Nero”.

    Legarono i cavalli fuori dall’edificio rustico ed entrarono, assicurandosi prima di nascondere l’attrezzatura sotto i mantelli per non ricevere inutili sguardi e attenzioni anche lì.
    Pur essendo ancora pomeriggio c’era già odore di carne abbrustolita che aleggiava nell’aria del locale, mescolato a quello della birra e a quello dei sigari o di qualsiasi altra cosa la gente stesse fumando tra un tavolo e l’altro.
    Si accomodarono ad un tavolo nell’angolo, lontano dal brusio dei clienti abituali che discutevano allegramente al bancone. Isabel lanciò loro uno sguardo di disprezzo: come potevano bere e divertirsi in quel modo in un momento del genere? La gente moriva là fuori e quegli ubriaconi se ne sbattevano altamente. Avrebbe voluto dargliele di santa ragione.
    < Non badare a loro, pagherei anch’io per poter tornare ad essere spensierato in quel modo. Lasciali vivere nell’illusione che siano ancora al sicuro > le sussurrò Alan notando che aveva chiuso i pugni, per poi ordinare quattro pinte all’oste in carne che si era avvicinato a loro pochi secondi prima.
    “Il ciccione che puzza di cinghiale morto”, come lo aveva definito ironicamente Dom per strappare un sorriso alle ragazze, posò le quattro pinte sul tavolo di legno e si allontanò fischiettando un motivetto.
    < Per risollevare il morale non c’è niente di meglio di una birra ghiacciata, credetemi… e toglietevi quell’espressione avvilita dalla faccia, abbiamo fatto il possibile > la piccola squadra brindò facendo urtare i boccali e tutti si presero un momento di silenzio per riflettere.

    Stavano discutendo sul da farsi quando un brusio fuori dalla taverna attirò la loro attenzione: molte persone si erano raccolte attorno ad un punto, ma da quella posizione non riusciva a capire il perché.
    < Ehi, c’è di nuovo quella sciacquetta con i suoi discorsi > esordì un uomo sulla trentina appena entrato nel locale.
    < Davvero, questa volta la faremo tacere una volta per tutte! > esclamò un altro tipo losco al bancone, il classico boscaiolo rozzo.
    < Sono proprio curioso di sentire quale stronzate dirà sui giganti questa volta. Ah ah!> aggiunse un terzo, abbandonando il proprio bicchiere di vino per seguire gli altri.
    < Che sta succedendo? > Isabel sembrava perplessa.
    < Non lo so, ma conviene dare un’occhiata > rispose Alan alzandosi al tavolo e uscendo dal locale seguito dai tre ragazzi. La folla in questione circondava una ragazza che da sopra alcune casse stava parlando ad alta voce: non doveva avere più di venticinque anni, indossava una lunga tunica rossa, i suoi capelli erano lunghi e castani, raccolti in una treccia, mentre i suoi occhi erano chiari come il ghiaccio stesso.

    < Non capite? Non potete continuare a vivere in una falsa tranquillità! I giganti esistono e presto giungeranno anche qui! Dovete fuggire, prendete i vostri cari e fuggite! Non avete i mezzi per poterli contrastare e loro non si fermeranno dinanzi alle vostre squallide mura di pietra. Perché non volete capirlo? >riceveva alcuni sguardi curiosi e molti altri di disprezzo.
    < Le vostre armi non posso far nulla, vi divoreranno uno ad uno se non seguite il mio consiglio. Le Grandi mura sono la vostra unica possibilità. Raggiungete Aurora finché siete in tempo! Io… > un pomodoro la colpì alla spalla, ma imperterrita proseguì:
    < L’umanità sta affrontando la peggiore delle sue paure e voi preferite ignorare questa minaccia piuttosto che affrontarla e reagire di conseguenza? Siete uomini o bestie? Dovres…. > un sasso la colpì alla gamba destra, facendola barcollare, ma non si arrese:
    < Se non reagirete…. Voi… Morirete tutti! > un altro sasso la ferì alla testa e scivolò dalle casse, sovrastata da un gruppo di uomini che la stava insultando nel peggiore dei modi, pronti a picchiarla se non peggio.



    Non potendo più assistere a quello scempio Isabel avanzò in mezzo alla folla che si allontanava vociferando e si interpose tra la ragazza e il gruppo di violenti:
    < Ehi tu, chi ti credi di essere? Spostati, dobbiamo dare a questa pazza quello che si merita > grugnì lo stesso boscaiolo che prima si trovava nella taverna.
    < Provate a torcerle un altro capello e vi farò rimpiangere di essere nati > sibilò lei in contro risposta.
    Il gruppetto sghignazzò mentre il resto della squadra si stava avvicinando.
    < Ah sì? E come? > la schernì l’uomo.
    < Con queste! > Isabel estrasse entrambe le spade, puntandole contro il rozzo che le fissò allibito, arretrando di qualche passo. La ragazza sfruttò quel momento per voltarsi un attimo verso la giovane donna:
    < Come ti chiami? > le chiese, tenendo sotto controllo il gruppo con la coda dell’occhio.
    < Katya… Katya Monford > rispose l’altra pulendosi il sangue alla fronte con il palmo della mano.
    < Bene Katya, ti porteremo via di qui > si volse verso il gruppo di violenti < Bene > disse con tono di sfida < Chi di voi vuole essere il primo ad essere castrato? >

    Edited by °Forfeus° - 7/9/2013, 13:16
     
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  2. Nikki_Kurenai
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    Bene! E’ arrivata Katya! Quindi…ci sarà da divertirsi, vero? **
    < Bene > disse con tono di sfida < Chi di voi vuole essere il primo ad essere castrato? >
    Quanto mi piace questa frase? XD già la immagino: tutta fighetta e col mento alto, gli occhi leggermente a fessura e divertiti e un sopracciglio alzato xD
    Bel capitolo u.u
     
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1 replies since 1/9/2013, 23:12   134 views
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