Capitolo IX- Gli echi del dolore

Attack on Titan- Days from a Dramatic Past

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    Capitolo IX

    Gli echi del Dolore


    Zl5Wjtg


    < Perché? > il sangue scivolava lento dalle sue mani.
    L’aria si impregnava di cenere, puzza di bruciato e odore di morte, dovunque.
    < Perché? > quel corpo che stringeva si stava facendo sempre più freddo, inesorabilmente, senza che lei potesse fare nulla. Ogni singola lacrima che le rigava il viso sembrava una lama tagliente e il dolore nel suo cuore aumentava.

    < Perché, perché, perché?! > ogni lacrima era una spada che si conficcava nel suo petto, se non nella sua stessa anima. Stava tremando, proprio come una foglia, senza riuscire ad abbandonare la presa, pallida come la morte stessa, coperta dal sangue del suo sangue.
    < Ivy… perché? > continuava a scuotere il corpo inerme della sorella, come se si fosse assopita, e sperava che quegli occhi color nocciola presto si sarebbero riaperti per fissarla confusi. Voleva ricevere uno sguardo, voleva ricevere un sorriso, solo un altro.

    < No… non può finire così… > in realtà lo sapeva, l’aveva sempre saputo: da quella fatidica notte ad Igleas, da quando erano riuscite a scappare sane e salve dal villaggio, dentro di lei si era insinuato il pensiero che non sarebbero più state al sicuro e che la morte avrebbe potuto colpire una di loro da un momento all’altro, con estrema rapidità.

    L’aveva sempre saputo, semplicemente il suo cuore non aveva mai voluto accettarlo.
    “ Potevo morire io al suo posto, sarebbe stato meglio, per entrambe. Potevo… no, dovevo morire io! Ivy non aveva alcuna colpa, sono stata io a trascinarla in questa storia, sono stata io a non crederle quel giorno… sono stata io a…” non riusciva nemmeno più a fare dei pensieri concreti, se non auto accusarsi di quel delitto tanto crudele.
    Era stata la sua lama spezzata a conficcarsi nel petto della sua amata sorellina, stroncandola nel fiore degli anni.

    < Oh Ivy… eri così giovane... così bella… perché? Avevo bisogno ancora di tempo, altro tempo da trascorrere insieme a te. Perché proprio tu? > quasi come un flashback si ritrovò ad osservare tutto quello che le era successo, ma a ritroso: l’avvento del titano femmina, l’incontro con Katya Monford, lo scontro con quei brutti ceffi, la difesa della carovana, la caduta di Hijven e Vrisis, l’addestramento e la promessa fatta ad Alan, l’incontro con Alan nella foresta, la distruzione di Igleas e il pomeriggio trascorso con Ivy in mezzo ai campi.

    Per un attimo si rivide coricata proprio su quel muretto di pietra, con la sorella accanto che sorrideva spensierata e le prese un tonfo al cuore. Non era mai stata una persona per bene, non secondo la mentalità del tempo, ma Ivy l’aveva sempre riportata sulla retta via e le aveva permesso di dimostrare che sapeva difendere le persone a lei care. Non in quel caso, non in quel dannato caso.

    Posò con delicatezza a terra il corpo della rossa e continuò ad osservarlo impietrita, sperando che fosse solo un brutto sogno e presto si sarebbe risvegliata. Sciolse il foulard verde che la sorella teneva sempre legato al braccio sinistro e lo legò al suo.
    A che cosa serve essere forti se poi non riusciamo a proteggere le persone che amiamo? A che serve? Aveva visto morire decine, anzi, centinaia di persone negli ultimi due anni, ma non poteva immaginare di provare così tanto dolore solo per lei.

    Era straziante, più di qualsiasi tortura conosciuta e quando fu oscurata dalla sagoma del titano femmina alzò gli occhi gonfi di lacrime e lo fissò con uno sguardo di pura sofferenza.
    < Ti sei presa la vita di mia sorella… ora, prendi anche la mia… e fa in fretta > disse allargando le braccia e socchiudendo gli occhi senza smettere di piangere.
    Aveva fatto una promessa, quella di continuare a vivere, ma come poteva farlo? Come poteva sopportare tutto quel dolore? Ivy era morta, probabilmente anche Dom e Alan era sparito, forse morto anche lui. Che senso aveva continuare a vivere? Per proseguire una guerra che avevano perso fin dal principio? Per continuare a vedere la gente morire, le città crollare e l’umanità soccombere sotto i giganti?

    No, non aveva senso, perciò l’avrebbe fatta finita, dato che non aveva più neanche la forza di combattere, di reagire. Ogni fiamma era spenta, cenere al vento pronta ad essere spazzata via.
    Il titano osservò prima il corpo senza vita di Ivy e poi Isabel, allungo una mano e la afferrò con sicurezza, senza che lei opponesse resistenza.

    La ragazza sentì il titano urlare e da quella breve distanza quelle urla la stordirono a tal punto da farle perdere i sensi. Prima che la vista le si oscurasse lo vide distintamente: il titano stava piangendo, dai suoi grandi occhi rossi stavano uscendo lacrime calde.
    < Acker…man… mi… dispiace > furono le ultime parole che udì prima di finire nell’oblio più profondo.

    […Fine OST…]


    Il classe dieci si accasciò contro l’abitazione, deturpandone la parete con la propria caduta: dalla nuca squarciata fuoriusciva una densa nube di vapore.
    Alan, sporco di sangue e ansimante lo osservava con disprezzo mentre Litia continuava a soccombere in mezzo alle fiamme e alla distruzione: quello era il settimo gigante che faceva fuori da quando era apparsa “Banshee”, ma era valso a poco.

    La milizia di Litia non era capace di contrastare i giganti e stava facendo una brutta fine, le mura erano andate, gran parte della cittadina anche e della popolazione era sopravvissuta solo un terzo, ancora in fuga nelle strade disseminate di macerie e cadaveri.

    Si passò una mano nei capelli e sospirò: non poteva più fare nulla, per l’ennesima volta l’umanità veniva sconfitta, costretta a contare i morti, e a lui non restava altro da fare che cercare i suoi compagni di squadra e fuggire. Di nuovo. E in quel momento un corno risuonò fiero nell’aria.

    […]





    Il corno riecheggiò una, due, tre volte mentre le truppe avanzavano in fila serrate sopra la collina a nord di Litia, con gli stendardi sospinti dal vento e le alte picche che sembravano toccare il cielo. Cavalieri, picchieri, fucilieri e artiglieri, quello era un vero e proprio battaglione da guerra a tutti gli effetti.

    Un uomo a cavallo con una strana armatura argentata e piena di encomi, dall’aria severa e sulla quarantina, superò le fila serrate dei soldati e raggiunse la cima della collina, osservando la lenta morte di Litia.
    Nei suoi occhi sembravano riflettersi le fiamme che stavano ardendo in parte la città.

    Alzò la mano destra con decisione e tutte le truppe si fermarono, con un unico e sonoro passo conclusivo. Il silenzio calò sul battaglione che osservava quel massacro senza scomporsi più di tanto. Un fante si avvicinò all’uomo in armatura:
    < Generale Vouber, sembra che siamo arrivati tardi… > osservò l’uomo.
    < Non esattamente, Ivan > rispose secco il generale.
    < In che senso? > gli occhi azzurri del fante si spostarono dalle rovine di Litia alla figura possente di Vouber.
    < Litia sarà anche perduta, ma quei bastardi dei giganti sono ancora lì. Facciamogli vedere di cosa è capace l’esercito coalizzato di Aurora ! > esclamò il generale togliendosi l’elmo e mostrando due occhi chiari come il ghiaccio.
    < Ma signore, ci sono ancora dei civili che stanno fuggendo dalla città >
    < Non possiamo rischiare, artiglieria, avanzare! > enormi cannoni furono trainati fino alla cima della collina, accanto al generale, seguiti dai carri pieni di munizioni.
    Le enormi armi da fuoco furono puntate contro Litia, pronte a seminare morte:
    < Fuoco! Massacrateli! > ordinò Vouber e i cannoni tuonarono, riversando una pioggia di fuoco devastante sulla città, sui giganti e sugli abitanti stessi.

    […]



    < Dom, Ivy, Isabel! Dove siete? > aveva setacciato metà città, eliminando altri due classi sei, ma dei suoi compagni di squadra non c’era traccia. Stava per cambiare zona quando udì una flebile voce a qualche metro da lui.
    < Alan… sono qui… aiutami > era Dom! Il giovane giaceva ancora riverso sul tetto dove era precipitato dopo lo scontro col titano e stava per cadere di sotto se Alan non l’avesse afferrato in tempo. Era pieno di lividi e contusioni, provato ma vivo.

    < Dom cos’è successo?! > gli chiese, udendo gli echi delle esplosioni alle sue spalle, chiunque fosse arrivato stava bombardando a tappeto l’intera città senza troppi rimpianti.
    < Il titano anomalo stava per attaccare Isabel e noi siamo intervenuti ma… > il ragazzo tossì, stringendo le mani intorno ai fianchi.
    < Ma? > Alan era visibilmente preoccupato, reso ancora più nervoso dai mortai che continuavano a sparare.
    < Il titano è riuscito a colpirci e mi ha scaraventato qui. Ivy è finita contro la chiesa e Isabel… non lo so, ero semicosciente e avevo la vista annebbiata > il giovane si morse le labbra fino a farle sanguinare. Alan posò le mani sulle spalle del suo compagno:
    < Dobbiamo trovarle e andarcene da qui. Qualcuno ha deciso di cancellare Litia dalla faccia della terra con chiunque vi si trovi dentro > Dom, inizialmente confuso da quell’affermazione, non appena sentì le esplosione rimbombare nelle sue orecchie annuì e afferrate con sicurezza le else delle spade seguì Alan alla ricerca delle ragazze.

    Dopo alcuni minuti di ricerche futili, la voce di Alan sovrastò gli echi dei cannoni fino a giungere alle orecchie del giovane:
    < Ho trovato Ivy! > ma nel suo tono di voce non c’era alcuna scintilla d’entusiasmo. Dom lo raggiunse sfruttando le funi e il gas e quando si ritrovò davanti quella scena cadde sulle ginocchia, incredulo:
    < Non può essere… > sussurrò portando una mano alla bocca. Quegli occhi socchiusi lo fissavano con il loro sguardo vuoto, una sensazione di orrore lo attraversò dalla testa ai piedi. Alan non parlava, scuro in volto. In quel momento solo il sibilo delle palle di mortaio che sfrecciava fino a schiantarsi contro gli edifici era l’unico suono percepibile a Litia, seguito dallo scrosciare delle case che crollavano come castelli di carte.


    < Mio Dio… > Dom non riusciva a capacitarsi di quel che stava vedendo, non poteva essere successo per davvero < Mio Dio no, Ivy no… Dannazione Alan dì qualcosa!> la rabbia stava subentrando allo sconforto mentre un’abitazione a un centinaio di metri da loro esplodeva in mille pezzi, colpita in pieno.
    < E’ morta! Non possiamo fare più nulla e piangere non la riporterà indietro! > gli sbraitò contro il tenente, stringendo i pugni e digrignando i denti. Una singola lacrima gli rigò l’occhio destro, asciugata repentinamente con la manica.

    Guardò intorno a sé alla ricerca di una via di fuga, ma soprattutto di Isabel, e fu in quel momento che la vide: la ragazza giaceva senza sensi nella mano del titano Banshee che, dopo aver ricambiato lo sguardo del tenente, iniziò a correre verso il punto da cui era venuta.
    < No, maledetta, fermati! > esclamò Dom avendo visto anche lui la sua compagna.

    Stava per inseguirla quando Alan lo fermò, bloccandogli le braccia:
    < No, Dom, non farlo! > urlò, mentre il punto che divideva i due cacciatori e il titano veniva raso al suolo dai mortai.
    < Isabel! Isabel, no! Maledetta stronza, torna indietro! Ridammi Isabel!> il giovane continuava a dimenarsi dentro la presa di Alan, che lo trattenne finché quest’ultimo non si calmò:
    < La ritroveremo, te lo prometto, ma prima, abbiamo un altro dovere > sussurrò indicando il corpo inerme di Ivy.
    Dom sospirò e avvicinandosi al cadavere della rossa lo raccolse con cura, stringendolo tra le sue braccia: era terribilmente leggero.

    Alan gesticolò, puntando le dita verso una zona di Litia che era stata già rasa al suolo e che potevano sfruttare come via di fuga. Il ragazzo annuì e si incamminò, mentre il tenente si assicurava che la strada fosse sgombra da macerie e ostili.

    Nessuno dei due parlava, nessuno dei due voleva parlare, le esplosioni che continuavano a riecheggiare bastavano già da sé a descrivere quanto era accaduto.
    Non appena riuscirono a superare gli scheletri anneriti delle mura si fermarono e Alan si volse verso le rovine in fiamme di Litia, con il viso che sembrava una maschera inespressiva.

    Frugò nelle tasche e tolse tre stemmi strappati da alcune divise simili alla sua: li guardò, poi fissò Ivy e infine lanciò uno sguardo al Titano Banshee e alla sua sagome che diventava sempre più piccola in mezzo al fumo che si innalzava dalla città.

    Era successo.

    Di nuovo.
     
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