Capito XI- Confusione

Attack on Titan- Days from a Dramatic Past

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    Capitolo XI

    Confusione


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    < Isabel > Katryn era proprio davanti a lei, le vesti lacere, la ferita al petto, il foro del proiettile in mezzo agli occhi.
    Camminava, camminava verso di lei.
    < Isabel > gli altri abitanti di Igleas la circondavano, chi senza un braccio, chi senza le gambe, e chi ancora solo orribilmente mutilato.
    La circondavano e la invocavano.
    < Isabel, perché, Isabel? > avanzavano, avanzavano verso di lei.

    Arretrò di qualche passo, confusa, terribilmente confusa da quella visione. Arretrò fino ad inciampare su altri corpi senza vita, quelli dei suoi genitori, immersi in un lago di sangue: c’erano tutti i cadaveri delle persone che aveva conosciuto fin da bambina, tutti morti, col cielo che brillava di una strana luce color porpora e i lamenti dei moribondi che si perdevano nell’aria impregnata di dolore e sofferenza.
    < Isabel > quella voce.

    I corpi scomparvero, uno dopo l’altro, lasciando lo spazio alle rovine di una città, ad un cielo ancora più rosso per le fiamme, e lei era ancora lì, a terra, sulle ruvide rocce di una strada abbandonata e disseminata di macerie.
    < Isabel > ancora quella voce, la sentiva sempre più vicina.
    < Basta! > urlò, in preda a una paura che non le apparteneva.
    < Dopo che hai ucciso la prima volta una persona cara… non ti fermi più > sentenziò Katryn indicando con le dita il foro in mezzo agli occhi dal quale fuoriusciva il sangue che le rigava il viso, occhi vitrei e senza emozioni.
    < No, non è vero… io… > tentò di controbattere, ma non ci riuscì.
    < Isabel > ancora quella voce e questa volta la vide: era Ivy.

    La divisa sudicia, la polvere , il sangue, e la lama spezzata ancora conficcata nel suo torace, con una parte dei cavi che penzolava a mezz’aria ad ogni suo passo. Il suo sguardo vuoto la penetrò fin dentro l’anima. Perché? Perché proprio sua sorella?
    < Isabel, perché mi hai ucciso? > le chiese, restando seminascosta nell’oscurità.
    < Ivy, mi dispiace, io… io non volevo… mi dispiace > sentiva quella sensazione di smarrimento avvinghiarla come corde spinose.
    < Hai ucciso Katryn, hai ucciso me e presto ucciderai anche Dom e Alan, sei diventata un mostro! > urlò la rossa e Isabel si coprì le orecchie socchiudendo gli occhi:
    < Sta zitta! Ivy non avrebbe mai detto una cosa del genere… tu… tu non esisti!Sei solo frutto della mia immaginazione! > la ragazza si avvicinò a lei e inginocchiandosi le tirò un manrovescio che avrebbe spezzato la mandibola a chiunque.< E’ vero… sorellona > Isabel sputò sangue e chinò la testa per il colpo.
    < Ed è anche vero che mi hai fatto una promessa > continuò, mentre la città in rovina lasciava il posto ad un’immensa pianura ricca di verde, con l’erba sospinta dal vento e i monti innevati all’orizzonte.
    < Alzati Isa… > la aiutò a rialzarsi e quando la rivide era tornata la Ivy di sempre: gioiosa, sorridente e solare.
    < Ivy… > balbettò e anche Katryn avanzò accanto alla rossa, con la sua bellezza giovanile non più storpiata dalla morte.
    < Mi hai fatto una promessa, Isabel, e devi mantenerla. Devi farlo per me, per Katryn, e per tutte le altre persone a noi care che hanno perso la vita. Se tu continuerai a vivere, noi vivremo insieme a te > sorrise, quello stesso sorriso che non avrebbe mai più rivisto.
    < Non ce la posso fare, non senza di te > rispose lei.
    < Puoi farcela eccome, devi solo credere in te stessa >
    < Spero vivamente che tu abbia ragione > si limitò a dire.
    < Ora però, svegliati >
    < Cosa? >
    < Svegliati, Isabel, svegliati > la voce di Ivy stava cambiando drasticamente, mentre si allontanava sempre di più, fino a diventare un puntino indistinguibile nell’oscurità.
    < Svegliati Isabel! > quella voce, riconosceva anche quella voce.
    < Ivy, aspetta! > riaprì gli occhi e la luce di una lanterna per poco non la accecò. Era madida di sudore e toccandosi le guance si accorse che aveva pianto. Aveva pianto nel sonno, mentre sognava. Ivy e Katryn non erano reali, ma quelle lacrime sì e facevano ancora male.

    < Finalmente ti sei svegliata > si stropicciò gli occhi e si guardò intorno, più confusa di prima: sembrava una camera come tutte le altre, ma c’erano diverse attrezzature mediche e le pareti sembravano essere state scavate in parte nel terreno stesso.
    < Come ti senti? > volse lo sguardo nella direzione da cui proveniva quella voce così familiare e sussultò quando vide Katya Monford che la fissava con uno sguardo sereno e quasi materno.
    < K-Katya? > gli ultimi momenti prima del buio erano confusi, come sfocati e non riusciva in alcun modo a ricordare cosa le fosse successo dopo la morte di Ivy.
    < In carne ed ossa > rispose la donna, facendo un lieve inchino, sembrava davvero energica. Lei, d’altro canto, si sentiva come se un intero castello le fosse crollato addosso, o ancor meglio, come se fosse stata reduce di una sbronza allucinante.

    < Che cosa è successo? Dove sono ? > quella confusione mentale la stava mandando letteralmente in tilt e Katya era l’unica persona che poteva darle una spiegazione.
    < Ti ho trovata senza sensi a un centinaio di metri da qui, in mezzo ad alcune macerie, mentre un titano dai capelli argentati se ne scappava urlando come un forsennato. Se non c’ho visto male aveva dei tratti femminili, non ne avevo mai visto uno così… affascinante. Mi ricordava la creatura mitologica nota come Banshee e direi che come nome non le starebbe nemmeno tanto male… oh scusa, sto divagando > sorrise, sincerandosi delle sue condizioni come avrebbe fatto un medico a tutti gli effetti.
    < Il titano anomalo mi ha abbandonata? > chiese stupita Isabel.
    < Già, non hanno mai fatto nulla del genere, nemmeno io riesco a dargli una spiegazione. Comunque è un bene che ti abbia trovato io, potevi fare una brutta fine >
    < Grazie… > si chiese se era il caso di dirle anche che quel titano aveva parlato, ma accantonò l’idea volendo prima sapere la verità su quello che era successo.

    < Proseguendo…uhm… ah sì! Ti ho portato qui perché questo è un posto sicuro, una sorta di rifugio sotterraneo che uso da un paio d’anni. Forse prima veniva utilizzato come covo di qualche trafficante d’armi o cose simili, ma ora è come se fosse casa mia. Ci troviamo a sud-ovest di Litia, nelle pianura dei grandi mulini a vento se proprio vuoi saperlo. Hai dormito per più di quattro giorni, anzi più che dormire hai avuto sempre gli incubi e i sudori freddi, ma sono riuscita ugualmente a curarti > ammiccando indicò le bende che aveva ai polsi, attorno alla testa e sulla mano sinistra.

    Katya le aveva salvato la vita, l’aveva curata e ospitata nella sua casa rifugio, facendo più di quanto avesse richiesto il semplice ricambiare il favore.
    < Isabel, che cosa è successo a Litia? Ho visto del fumo che si alzava in lontananza quando ti ho trovata > la sua preoccupazione sembrava sincera, anche se c’era ancora qualcosa in lei che la inquietava.
    < Avevi ragione, il giorno dopo che ti abbiamo soccorso, Litia è stata attaccata da quel titano anomalo e da altri giganti che hanno ben presto raso al suolo la città. Non abbiamo potuto fare quasi nulla, la gente non era pronta e io… io ho perso mia sorella per colpa di quel mostro > sentiva che stava per piangere di nuovo, ma si trattenne.
    < Mi dispiace Isabel, so quanto possa essere orribile veder morire davanti ai propri occhi una persona a noi cara > le posò una mano sulla sua fasciata e la strinse lievemente < Purtroppo nei tempi in cui viviamo dobbiamo essere consapevoli che tutto ciò potrebbe accadere, in un modo o nell’altro > aggiunse, sospirando.

    < Tu sembri sapere molto su questi giganti, come fai? > chiese Isabel, per scacciare tutti quei pensieri cupi che erano tornati a bussare alla sua porta.
    < Semplice, li studio. Credo che agiscano per un motivo preciso, non i classici giganti che avanzavano e divorano la gente, ma i titani anomali. Quest’ultimi sembrano essere più intelligenti, forse astuti, e probabilmente comandano gli altri giganti. Proprio come il titano banshee che ha attaccato Litia. Ambiscono a qualcosa e io scoprirò cos’è > nei suoi occhi chiari bruciava la fiamma della determinazione mentre pronunciava quell’ultima frase.
    < E’ bello vedere come sei determinata, forse se lo fossi stata anch’io a quest’ora Ivy sarebbe ancora viva… > strinse le coperte e si morse le labbra.
    < Non dire così, sono sicura che hai fatto tutto il possibile, ma dimmi: gli altri due tuoi compagni che fine hanno fatto?> a quella parole sussultò: era stata così impegnata a pensare a se stessa e ad Ivy che si era completamente dimenticata di Dom e Alan. Cercò di ricomporsi e rispose:
    < Spero siano ancora vivi, ma non ho la più pallida idea di dove possano essere. Io ho commesso un grave errore..>
    < Quale? > nel frattempo la donna si era sistemata il camice bianco che portava sopra le vesti e si era avvicinata ad una credenza in mogano dove si intravedevano all’interno alcune bottiglie.



    < Mi sono consegnata di mia volontà al titano anomalo, o Banshee come lo chiami tu> ognuna di quelle parole pesava come un macigno.
    < Cosa?! Perché? > chiese, prendendo una bottiglia tozza e due bicchieri.
    < Perché volevo farla finita… > voleva scendere da quel letto, ma si sentiva ancora stanca e frastornata, così decise di non muoversi, seppur controvoglia.
    < Isabel non è così semplice: il mondo sta andando a farsi benedire, per non dire altro, e se scegliessimo tutti la strada più semplice che senso avrebbe tutto ciò? Un bel suicidio di massa per diventare lo spuntino dei giganti? Io penso che dovremmo reagire, sempre. Anche tu dovrai reagire e dovrai farlo per te stessa e per tua sorella > doveva ammetterlo: Katya sapeva destreggiarsi con le parole e in quanto ad eloquenza non poteva paragonarla con nessun’altro.
    Una donna carismatica che sapeva colpire nel profondo e lasciare il segno.
    Aveva saputo darle la carica, quella scintilla necessaria a farla riprendere da ferite invisibili.

    < Ucciderò quel titano con le mie stesse mani… > sibilò, sorridendo sadicamente, una parte del suo carattere che raramente veniva fuori. Era la seconda volta, dopo l’episodio del boscaiolo a cui aveva spezzato il collo.
    < Questo è lo spirito giusto, bisogna brindarci sopra! > esclamò la donna porgendole un piccolo bicchiere di vetro contente un liquido ambrato.
    < Che cos’è? > chiese Isabel afferrando con sicurezza il bicchiere.
    < Un distillato di mia invenzione, non ha ancora un nome, ma scivola giù che è una bellezza e ti riscalda anche l’anima > rispose, soddisfatta ed entusiasta.
    < Guarda, lo butti giù in un colpo solo > aggiunse, eseguendo l’azione appena pronunciata ed espirando profondamente < Avanti, prova tu, non morde mica >.
    Isabel lo osservò per alcun istanti, con la luce della lanterna che gli dava un tono ancora più acceso e intenso:
    < Bah, al diavolo! > anche lei tirò giù tutto d’un colpo e tossì leggermente quando sentì il bruciore in gola e poco dopo nello stomaco.

    < Bello forte, eh? Ci voleva proprio > la mora sorrise prendendo il bicchiere di Isabel che nel frattempo aveva iniziato a sentirsi più strana del solito.
    < Un po’ troppo… mi sento… confusa… > disse, iniziando a vedere tutto distorto, come se i mobili in quella stanza iniziassero a muoversi, prendendo vita.
    < Nah, tranquilla, la prima volta ha questo effetto > Katya l’aveva afferrata per un braccio e la stava trascinando via da quella camera.
    Riusciva a camminare, seppur barcollando, ma la sua mente continuava ad essere confusa.
    < Dove… dove mi stai portando? > la vista le si stava annebbiando e iniziava a sentire gli echi dei passi della Monford. Respirava a fatica e sentiva che pian piano le forze la stavano abbandonando come risucchiate da qualcosa.
    < A finire ciò che avevo iniziato… > rispose tranquilla la donna.
    < C-cosa?! > ormai Katya la stava letteralmente trascinando dato che lei non riusciva più a tenersi in piedi.

    < Andrà tutto bene, mia piccola cavia, andrà tutto bene > quasi come un sussurro quella parole si insinuarono nella sua mente, con la Monford che canticchiava un motivetto, lasciando spazio a quell’oscurità che ormai l’avvolgeva come una madre.

    < Andrà tutto bene… >
     
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