Capitolo XV- Bentornata nei Delta

Attack on Titan- Days from a Dramatic Past

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    Capitolo XV

    Bentornata nei Delta


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    < E’ bello rivedervi ragazzi! Ero stanco di starmene lì appeso come un salame! > la voce di Frank riecheggiava altisonante nel corridoio, coperta a tratti dagli echi dei loro passi e dai boati delle esplosioni che stavano scuotendo tutta la struttura sotterranea e i cunicoli che si diramavano al di sotto dei mulini a vento.

    Continuavano a correre a perdifiato in quelle gallerie scavate nella roccia già da un paio di minuti, svoltando a questo o a quell’incrocio in quello che sembrava più un labirinto oscuro che il rifugio di una psicopatica.
    Stavano seguendo il giovane dai capelli biondi, il quale conosceva la strada, ma il ragazzo si era già ritrovato a dover cambiare percorso a causa di un soffitto crollato o di una parete sfondata dopo aver imprecato contro gli artificieri.

    < Ehi Gregor, non pensi stiano un tantino esagerando i tuoi amichetti là sopra? > chiese il sergente, bloccandosi di colpo, mentre l’ennesimo cumulo di macerie ostruiva il corridoio che stavano attraversando pochi istanti prima.
    Il piccolo gruppo si era dovuto fermare e ora il giovane si stava guardando nervosamente intorno, facendo mente locale e cercando una nuova via di fuga:
    < Amichetti? Quando usciremo da qui dovranno preoccuparsi più di me che dei titani! > esclamò, indicando la strada ostruita < gli avevo chiesto di far ballare un po’ questo posto per creare un diversivo invece ora ce lo stanno facendo crollare addosso!> aggiunse, tirando un calcio all’aria e tornando poco dopo a massaggiarsi le meningi per trovare una soluzione.
    Frank sghignazzò osservando quella reazione.

    D’altro canto la figura incappucciata che aveva afferrato Isabel, e che continuava a stringere con forza il braccio della ragazza senza allentare la presa, non aveva spiccicato neanche una parola per tutto il tempo, limitandosi a trascinarla con se quasi fosse stata incatenata, voltandosi ogni tanto per lanciarle uno sguardo da sotto i lembi del cappuccio.
    L’ennesima esplosione fece precipitare una delle travi del soffitto a terra, spezzandola a metà, a pochi metri dal gruppo, ma nessuno dei presenti sembrò dargli importanza troppo presi nell’attendere una risposta da parte di Gregor.

    < Ci sono! Di qua! > il giovane schioccò le dita, si incamminò velocemente verso una rampa di scale ancora intatta e salendo i gradini a due a due giunse in un nuovo corridoio, reso malconcio dalle esplosioni ma ancora utilizzabile.
    Isabel non si era ancora ripresa da ciò che la Monford le aveva fatto, qualsiasi cosa le avesse fatto, e quella corsa disumana in quei cunicoli la stava mettendo a dura prova: più volte aveva rischiato di cadere a terra stremata e altrettante volte la vista le si era appannata come conseguenza di una febbre alta di cui non si aveva traccia.
    Ma ogni volta la figura incappucciata l’aveva spronata a continuare, non con le parole ovviamente, ma strattonandola per il braccio e indicando il percorso davanti a loro.
    Frank e Gregor, poco più avanti di loro, stavano discutendo di qualcosa in modo molto accesso, ma con tutto quel trambusto e nello stato in cui si trovava non riusciva a capire granché.



    Solo qualche minuto dopo finalmente le parole cominciarono a diventare più nitide e chiare:
    < Quindi ti ha usato come una sorta di cavia? > aveva chiesto Gregor con sguardo dubbioso.
    < Più o meno, ma a me è andata bene… non posso dire altrettanto della ragazza, Isabel > aveva risposto l’uomo coprendosi leggermente il volto per evitare alcuni frammenti di terra che si erano staccati dal soffitto dopo l’ennesima scossa.
    < In che senso? > Gregor questa volta aveva optato per il corridoio a destra, evitando prontamente le macerie che bloccavano il passaggio centrale e i resti della porta a sinistra sotterrata da enormi massi.
    < Non so bene cosa diavolo le abbia fatto, ma aveva un’espressione inumana mentre la bucava con le siringhe. Nei suoi occhi ho visto la luce della follia, quella è pazza fino al midollo > l’espressione di Frank era seria, resa ancora più cupa e dura dalla luce fioca delle lanterne che continuavano ad oscillare vertiginosamente prima di staccarsi e cadere a terra, gettando nell’oscurità il corridoio, pezzo dopo pezzo.
    < Cazzo, mi chiedo come faccia a tenersi ancora in piedi allora… > Gregor si voltò per alcuni istanti ad osservare Isabel, la quale ormai ansimava pesantemente, giunta quasi allo stremo delle forze.

    < Figliola va tutto bene? Dai ci siamo quasi, presto rivedremo la luce del sole! > esclamò Frank per tirarla su di morale, vedendo che quella fuga improvvisa stava dando il colpo di grazia al suo fisico già provato dalle follie della Monford.
    < Sto bene, sto bene, sono solo un po’… stanca… tutto qui > rispose la ragazza, con i sudori freddi che le scivolavano lungo la fronte e le gambe sempre più indolenzite. L’incappucciato silenzioso, dopo quella risposta, si era voltato di nuovo a guardarla per pochi istanti e aveva allentato la presa, rallentando di poco anche la corsa.
    Quei due gesti, seppur superficiali, la colpirono e finì per urtare il suo “accompagnatore” quando quest’ultimo si fermò di colpo a pochi passi dagli altri due delta. La luce del sole filtrava da alcune crepe del soffitto in quella stanza, segno che ormai erano vicinissimi all’uscita. Perfino le esplosioni si erano fermate e i residui dei loro boati si persero tra le rovine di quel rifugio ormai destinato ad essere dimenticato.

    < Te l’avevo detto che era finita all’altro mondo. Questa puttana psicopatica ha avuto ciò che si meritava > sentenziò Gregor, indicando un braccio che fuoriusciva da un cumulo di macerie. Quella mano rimasta semiaperta sembrava invocare aiuto, pietà.
    < Tsk… ben gli sta, così impara a rapire la gente per i suoi esperimenti mentre il mondo va a farsi benedire grazie ai titani > aggiunse Frank, sfiorandosi con le dita le ferite anche fresche che spuntavano tra i tagli laceri della divisa.
    Isabel si limitò ad abbassare la testa e a sospirare: l’avrebbe uccisa con le proprie mani per ciò che le aveva fatto, ma ora che la vedeva lì, sepolta viva, provava un po’ di pietà per lei, dopotutto restava pur sempre una persona, un essere umano, sotto tutta quella follia.

    < Aspetta, chi ci dice che è davvero lei e non qualcun altro? > Frank aggrottò la fronte nel porre quella domanda.
    < Diamine, l’ho vista finire qua sotto con i miei stessi occhi > rispose in fretta Gregor, imitando con le mani il soffitto che crollava sopra la donna. Frank continuava ad essere perplesso e l’incappucciato perpetrava il suo silenzio incondizionato con accanto Isabel che stava riprendendo fiato.
    < Hai visto morire una donna, non sappiamo se è davvero lei… cazzo, non voglio ritrovarmela di nuovo alle calcagna. Mi è bastata una volta > il sergente fissava quel braccio come se stesse aspettando una reazione, un movimento.
    < Avanti Frank, credi davvero che ci sia qualcun altro in questo posto? Ti dico che è lei! > il biondo controbatté subito, probabilmente non era la prima volta che discutevano in quel modo a giudicare dai toni leggermente alti, ma non abbastanza da reputarli pericolosi.
    < Secondo me… >
    <e’ lei > la voce di Isabel interruppe Frank e quest’ultimo si voltò verso la ragazza insieme al resto del gruppo.
    < Come fai a dirlo? > chiese, volendo prove concrete, non ipotesi o supposizioni campate in aria.
    < Quell’anello, lo indossava quando l’ho incontrata la prima volta e quella piccola ferita a “V” sul mignolo se l’è procurata in una scazzottata a Litia > quella risposta così precisa zittì Frank e scacciò in un colpo solo tutti i suoi dubbi.

    Sotto quelle macerie c’era davvero Katya Monford. L’intero gruppo rimase per un intero minuto in silenzio, ad osservare ciò che restava di quella donna. L’incubo era finito.
    < Fuori di qui, adesso! > Gregor spezzò quel greve silenzio e tutti si incamminarono fuori dal mulino che dava l’accesso al rifugio sotterraneo.

    Rivedere la luce del sole, dopo tutti quei giorni trascorsi sottoterra, per poco non l’accecò, ma sentire il calore del sole, la brezza del vento e il profumo dell’aria non impregnata di terra e polvere la riportò letteralmente in vita.
    < Aria fresca! Santi cazzi, è meglio di una birra ghiacciata! > strepitò Frank euforico, stiracchiandosi per bene mentre altre tre persone con addosso la divisa del corpo di ricognizione si avvicinavano al gruppetto dei fuggiaschi, seguiti da alcuni artificieri.

    < Signorine, non è il momento di festeggiare > un uomo che doveva avere poco meno di trent’anni si avvicinò al gruppo < Come avevamo previsto le esplosioni hanno attirato i giganti nei dintorni. Gli artificieri hanno piazzato qualche carica per rallentarli, ma presto ci saranno alle calcagna se non leviamo le tende. Intensi? > l’uomo si passò una mano nei capelli rossicci e poi si accarezzò la barba ben curata, pensieroso.
    < Aye-aye > risposero in coro Gregor e Frank, mentre l’incappucciato si limitava ad annuire. Gli occhi color nocciola dell’ultimo arrivato si soffermarono su Isabel.

    < E lei chi è? > chiese, ma prima che qualcuno potesse rispondere fu Isabel ad apri bocca.
    < Signore dobbiamo andarcene, diversi giganti in arrivo da più punti > esclamò uno degli artificieri in lontananza.
    < Perché prima non mi dici chi sei tu? > sembrava quasi che l’esser tornata fuori le avesse ridato l’energia e la tenacia di sempre.
    < Hai la lingua lunga, eh? D’accordo: io sono Alexander Ral, comandante della squadra Delta > Ral, aveva già sentito quel cognome, ma non ricordava dove.
    < Non può essere, il comandante dei Delta è Alan > disse Isabel, fissando l’uomo dritto negli occhi.
    < Alan è scomparso da due anni, da quel giorno sono io a comandare la squadra. Chiaro? >
    < Alex la ragazza ha incontrato Alan, è ancora vivo > si affrettò ad aggiungere Frank, notando il leggero astio che stava nascendo tra i due.
    < Mi piacerebbe vedere la fine di questo battibecco, ma abbiamo compagnia > osservò Gregor incrociando le braccia.

    < E’ lei? > chiese Alexander, allontanandosi da Isabel, mentre gli artificieri cominciavano ad innervosirsi.
    < Già, probabilmente, non lo senti? Il vento ha cessato di soffiare, il cielo parla chiaro… > l’espressione seria del biondo preoccupò la ragazza che iniziò a guardarsi intorno per capire cosa stava succedendo.
    Pochi istanti dopo un fulmine color cremisi squarciò il cielo, precipitando dietro uno dei mulini a vento che si trovava nella valle, il quale crollò come un castello di carte mentre una figura umanoide appariva tra le sue macerie e la colonna di fumo che si era generata.

    Una nube di vapore la circondava rendendo le sue sembianze ancora non perfettamente distinguibili, ma quando un urlo disumano riecheggiò nell’intera zona fu tutto qui chiaro: Banshee era tornata.
    Isabel rabbrividì e sentì quegli occhi color sangue su di lei e quasi involontariamente racchiuse la testa tra le braccia, rannicchiandosi a terra, tremando come una foglia: i ricordi di Litia, insieme al dolore e alla paura, erano risaliti in fretta dal baratro della sua anima.

    < Dobbiamo andarcene, non possiamo sconfiggerla qui > disse Alexander, restando impassibile pur di fronte a quell’improvvisa apparizione.

    L’incappucciato si avvicinò ad Isabel e abbassando il cappuccio mostrò il proprio volto: il viso di una fanciulla, dai capelli biondi a caschetto e dagli occhi azzurri che trasmettevano sicurezza e malinconia al tempo stesso.
    Porse la mano ad Isabel, aiutandola a rialzarsi, dopodiché si volse verso Gregor e gli altri, iniziando a gesticolare con le mani:
    < Che cosa ha detto? > chiese Alexander, lanciando sguardi veloci al titano banshee che continuava ad urlare tra le macerie del mulino. Gregor rimase un attimo in silenzio, poi rispose:

    < Afferma: chi dice che dobbiamo sconfiggerla? > la ragazza si voltò verso Isabel e gesticolò un’ultima volta, mostrando un altro di quei suoi sorrisi malinconici

    < E aggiunge: Bentornata nei Delta, Isabel >
     
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