La demagogia populistica italiana

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    Mugiwara941

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    La demagogia populistica italiana



    (Giorgio Gaber)

    Sulla base della concezione naturalistica e meccanicistica che, come detto nella prima parte, investe tutta la realtà umana, Hobbes riprende la teoria del contrattualismo sociale per spiegare sia l'origine dello stato, sia le norme che ne favoriscono il funzionamento. riprendendo le teoria del giusnaturalismo, Hobbes considera anche lui lo stato di natura come una condizione di aggressività permanente tra gli uomini ("bellum omnium contra omnes = guerra di tutti contro tutti"), in cui ogni uomo, secondo il celebre detto del filosofo latino Plauto, è lupo per ogni altro uomo: ciascuno è "homo homini lupus". E' una condizione di costante aggressione e di paura: infatti mentra, da una parte, l'uomo è portato a nuocere al suo simile, seguendo il proprio istinto aggressivo, dall'altra parte è succube di una condizione di terrore, cioè dalla paura di restare, a sua volta, vittima dell'altrui spirito aggressivo. Questa condizione di guerra permanente tra gli uomini può aver termine solo con la costituzione dello stato. Lo stato civile nasce, quindi, per Hobbes, dalla necessità di superare la condizione di guerra permanente dello stato naturale, impedendo e reprimendo il ricorso alla violenza individuale. Mentre lo stato di natura è una condizione di istintività, lo stato civile è un'opera della ragione, ed è l'antitesi di uno stato di natura. Per raggiungere la pace, gli uomini si dispongono a rinunciare alle leggi di natura che mancano di garanzia contro i violenti nonché di un'autorità che le renda esecutive, per cui, stipulando il patto, rinunciano a tutto. Lo stato che sorge conseguentemente, comporta quindi la rinuncia di tutti a tutto e un reciproco rispetto del patto, ma si rende necessario pure creare un entità superiore che garantisca l'osservanza del patto stesso. Ecco allora la necessità che ognuno, abdicando alla propria libertà individuale, renda possibile il potere di un sovrano che, garantendo l'osservanza del patto, assicuri ad ognuno la vita e il godimento dei beni. Tale sovrano deve, però, rimanere estraneo al patto: egli conserva tutti i poteri e, sostanzialmente, non ottiene nulla che già non abbia. Effettivamente mantiene il suo diritto su tutti. Ciò legittima l'assolutismo monarchico e, sulla base del principio contrattualistico, esclude qualsiasi legittimazione di origine divina da parte dello stato e del sovrano. Il patto che da origine allo stato civile non può essere revocato perché, come sostiene Hobbes, per revocare il patto stipulato occorrerebbe il consenso di tutti i contraenti, compreso colui al quale è deferito l'uso del potere, il che diventa pressoché irrealizzabile. Le esigenze di sicurezza e di pacifica convivenza spingono gli uomini a stipulare il patto sociale, rimettendo ad un sovrano quella parte di libertà a cui essi rinunciano: nasce così la suprema autorità dello stato, rappresentata dal sovrano, autorità che lo stato, una volta costituito, esercita sui suoi sudditi in modo esclusivo, senza condizionamenti né condivisioni con altre forze come ad esempio la chiesa. Il potere politico per Hobbes deve essere assoluto: o chi comanda ha in sé tutto il potere, e allora lo stato esiste, oppure i poteri sono divisi, e allora lo stato non esiste, essendoci al suo posto l'anarchia. Il popolo italiano è da sempre stato oggetto di critiche tanto esterne quanto, soprattutto, interne. Questo innegabile fatto è semplicemente dovuto a null’altro che ad una radicata tendenza del nostro popolo che consta in un inattaccabile e quasi totalitario disinteresse, da parte di tutte le classi sociali, nei confronti delle condizioni socio-economiche dei propri concittadini. Attualmente il nostro paese sta vivendo una difficile e difficilmente superabile crisi tanto economica quanto sociale; in parte certamente dovuta ad un sistema bancario e monetario capace di sfiorare l’autocrazia; ma altrettanto ad un grande problematicismo ormai attecchito nel pensiero degli italiani come un’erbaccia difficilmente estirpabile. Questo controproducente modus ponens divenne già il centro di una accanita satira negli anni novanta, gli anni in cui il grande Giorgio Gaber prese di mira proprio questa demagogia polemica che aveva colpito già da tempo sia la classe politica che il popolo. La satira di Gaber raggiunse il culmine del suo climax nella canzone “Io non mi sento italiano” che venne pubblicata nel 2003 (poco dopo la sua morte) nella quale palesò questa tipicamente italiana tendenza con i versi “persino in parlamento c’è un’aria incandescente, si scannano su tutto, e poi non cambia niente” [cit. Io non mi sento italiano, Giorgio Gaber, 2003]. Volendo essere pragmatici, il fulcro del problema che affligge il nostro paese è proprio questo: una innaturale e populistica tendenza a polemizzare su qualsiasi proposta senza controproporne una migliore. Dal lato del popolo questa sopracitata corrente tende a sfociare in una accanita critica politica, spesso fatta senza essere in possesso delle corrette informazioni. Lampante dimostrazione ne è l’attuale critica mossa nei confronti del Premier Matteo Renzi, così come, se pur solo in parte, quella passata contro l’ex cavaliere Silvio Berlusconi; polemiche fatte su basi decisamente più personali e private che politiche e sociali. Quello italiano è un popolo ideologicamente portato al mancato superamento di una crisi come quella attuale, proprio per il suo insito interesse al perseguimento del mero particulare personale, come sostenuto nel sedicesimo secolo dal filosofo, scrittore e politico italiano Francesco Guicciardini. All’interno del saggio “Manifesto capitalista. Una rivoluzione liberale contro un’economia corrotta” scritto da Luigi Zingales, viene argomentato come la crisi che ha colpito un gran numero di paesi nel mondo benché ardua sia superabile da paesi, come gli Stati Uniti, che hanno insiti nel loro DNA “i geni per intraprendere una riforma” [cit.] mettendoli poi in antitesi con altri scrivendo: “a differenza di altri Paesi in cui il populismo è sinonimo di demagogia e di dittature autocratiche” [cit.]. Sicuramente e fortunatamente la dittatura autocratica non rispecchia il caso dell’Italia, ma al contrario la demagogia sì; quello italiano è un popolo che sostiene continue differenziazioni tra le medesime azioni se compiute da diversi individui, che polemizza su qualsiasi scelta politica solo in quanto tale e che si occupa solo del perseguimento del fine personale e non di quello collettivo; in questo modo la crisi tanto temuta e odiata non avrà mai una fine se non con il crollo di tutte le istituzioni e dell’economia; ma in tal caso non sarebbe che l’inizio di una nuova conduzione del popolo stesso al medesimo risultato.